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Vaccini anti-COVID-19: ci sono differenze nell’efficacia?

Sono tre i vaccini disponibili al momento in Italia per prevenire COVID-19, la malattia causata dal virus SARS-CoV-2: il vaccino COVID-19 mRNA BNT162b2 (Comirnaty), noto come Pfizer-BioNTech; Il vaccino COVID-19 Vaccine Moderna mRNA -1273 e il vaccino Vaxzevria (ex COVID-19 Vaccine AstraZeneca).

Tutti e tre i vaccini sono stati autorizzati da EMA (European Medicines Agency – Agenzia Europea per i Medicinali) e AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) in seguito a tutte le regolari e consuete fasi di verifica in merito all’efficacia e alla sicurezza.

I tre vaccini sono dunque efficaci e sicuri e possono offrire un contributo fondamentale alla riduzione della circolazione del virus: l’obiettivo infatti è vaccinare quante più persone possibili al fine di raggiungere l’immunità di comunità (o immunità di gregge). Il suo raggiungimento, infatti, consentirebbe una sempre minor circolazione del virus; una buona percentuale di vaccinati permette comunque di ridurre il valore dell’indice RT: l’indicatore del numero di persone che vengono contagiate in media da una sola persona infetta in un determinato arco di tempo.

I vaccini sono diversi tra loro ma tutti concorrono in maniera preziosa all’immunizzazione della popolazione, proviamo a fare chiarezza sulle caratteristiche dei vaccini disponibili grazie all’aiuto della dottoressa Elena Azzolini, della Direzione Medico Sanitaria di Humanitas.

Il virus SARS-CoV-2

Per capire come funzionino i vaccini, occorre sapere come agisce il virus SARS-CoV-2.

Una singola particella (detta virione) del virus SARS-CoV-2 ha forma rotondeggiante e sulla sua superficie presenta delle “punte” che rendono il virus simile a una corona (da cui il nome Coronavirus). Sulle punte è presente la proteina Spike in grado di legarsi all’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2): un enzima coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna e che si trova sulle cellule dell’epitelio polmonare dove difende i polmoni dai danni causati da infezioni e infiammazioni. Il virus, legandosi ad ACE2, entra nella cellula e impedisce all’enzima di compiere il proprio ruolo protettivo.

La proteina Spike rappresenta dunque una “chiave” che permette l’accesso del virus alle cellule dell’organismo attraverso l’angiotensina 2 (ACE2), che funziona come una “serratura”.

Una volta all’interno della cellula, il virus rilascia il proprio codice genetico virale (RNA) e costringe la cellula a produrre proteine virali che creano nuovi coronavirus: questi a loro volta si legano ad altre cellule portando avanti l’infezione.

Vaccini a mRNA e vaccini a vettore virale

I vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna sono vaccini a mRNA, mentre il vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca) è un vaccino a vettore virale (così come il vaccino Janssen di Johnson & Johnson e il vaccino Sputnik V).

Come funziona il vaccino a mRNA?

Tutti i vaccini sono stati messi a punto per indurre una risposta che blocca la proteina Spike e impedisce così l’infezione delle cellule.

I vaccini a mRNA (Pfizer-BioNTech e Moderna) contengono le molecole di RNA messaggero (mRNA) con al loro interno le indicazioni per costruire le proteine Spike del virus SARS-CoV-2. Nel vaccino, le molecole di mRNA sono inserite in una microscopica “bollicina” che protegge l’mRNA per evitare che deperisca in fretta (come solitamente accade) e che venga attaccato e distrutto dalle difese del sistema immunitario in quanto componente estraneo all’organismo, così che possa entrare nelle cellule.

A seguito dell’iniezione del vaccino, l’mRNA viene assorbito nel citoplasma delle cellule e avvia la sintesi delle proteine Spike. La loro presenza stimola così la produzione di anticorpi specifici. Con il vaccino dunque, non si introduce nelle cellule di chi si vaccina il virus vero e proprio (e quindi il vaccino non può in alcun modo provocare COVID-19 nella persona vaccinata), ma solo l’informazione genetica fondamentale alla cellula per costruire copie della proteina Spike.

La vaccinazione inoltre attiva anche le cellule T che preparano il sistema immunitario a rispondere a ulteriori esposizioni al virus SARS-CoV-2: se in futuro il vaccinato dovesse entrare in contatto con il virus, il suo sistema immunitario ne avrà memoria, lo riconoscerà e si attiverà per combatterlo, bloccando le proteine Spike e impedendone l’ingresso all’interno delle cellule.

Una volta compiuta la propria missione, l’mRNA del vaccino si degrada naturalmente pochi giorni dopo la vaccinazione. Non c’è pertanto alcun rischio che entri nel nucleo delle cellule e ne modifichi il DNA.

Come funziona il vaccino a vettore virale?

Il vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca) è un vaccino a vettore virale e si avvale dell’adenovirus degli scimpanzè (ChAdOx1 – Chimpanzee Adenovirus Oxford 1), un virus responsabile del raffreddore comune in questi animali. All’interno di una versione indebolita dell’adenovirus degli scimpanzè (incapace di replicarsi e innocua per l’organismo umano) viene inserito il materiale genetico della proteina Spike e attraverso l’adenovirus (che funge da vettore, da tramite) viene introdotto nelle cellule umane il materiale genetico della proteina Spike, quella che permette al virus SARS-CoV-2 di innescare l’infezione responsabile di COVID-19.

Il sistema immunitario si attiva così contro la proteina Spike e produce gli anticorpi: laddove l’individuo in futuro entrasse in contatto con il virus, gli anticorpi – allenatisi con la vaccinazione – saranno in grado di riconoscere il virus e bloccare l’infezione.

Una volta somministrato, l’adenovirus modificato entra nel nucleo della cellula e fornisce il codice genetico per produrre la proteina Spike di SARS-CoV-2. Le cellule T del sistema immunitario riconoscono lo stimolo della proteina Spike e attivano la risposta immunitaria e la produzione di anticorpi specifici contro il virus.

Con la vaccinazione vengono inoltre prodotte cellule dotate di memoria difensiva contro la proteina Spike: se la persona vaccinata in futuro dovesse entrare in contatto con il virus, il suo sistema immunitario ne avrà memoria, lo riconoscerà e si attiverà per combatterlo, impedendo alle proteine Spike l’ingresso all’interno delle cellule.

Con il vaccino si introduce nelle cellule dell’organismo solo l’informazione genetica necessaria per costruire copie della proteina Spike. L’adenovirus non è in grado di replicarsi e dunque non può diffondersi nell’organismo dei vaccinati.  Dopo la somministrazione l’informazione genetica si degrada e viene eliminata.

La somministrazione dei vaccini: tempi e modi

I tre vaccini vengono somministrati in due iniezioni, in genere nel muscolo della parte superiore del braccio.

Per Pfizer-BioNTech devono passare almeno 21 giorni tra la prima e la seconda dose, mentre sono 28 i giorni di distanza tra la prima e la seconda dose per il vaccino Moderna.

Le persone che sono state vaccinate con la prima dose di Vaxzevria (ex AstraZeneca) devono ricevere la seconda dose dello stesso vaccino idealmente nel corso della dodicesima settimana e comunque a una distanza di almeno dieci settimane dalla prima dose.

Il vaccino Pfizer-BioNTech deve essere conservato a una temperatura compresa tra -90 °C e -60 °C. La FDA (Food and Drug Administration), l’agenzia governativa statunitense che regola il mercato dei prodotti alimentari e farmaceutici, il 25 febbraio ha autorizzato la conservazione del vaccino a temperature comprese tra -25°C e -15°C per due settimane, dopo aver ricevuto da parte di Pfizer-BioNTech nuovi dati a supporto della confermata stabilità del vaccino alle nuove temperature di trasporto e conservazione. Si tratta di una novità importante considerato che permette di utilizzare freezer meno potenti di quelli richiesti inizialmente e più comuni in ambito sanitario.

Il vaccino Moderna viene conservato a temperature comprese tra -15 e -25 gradi, ma è stabile tra i +2 e i +8 gradi per 30 giorni se la confezione rimane integra.

Il vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca) può essere conservato per 6 mesi a temperature comprese tra 2°C e 8°C, se la confezione rimane integra. 

L’efficacia dei vaccini: facciamo chiarezza

Nel corso di uno studio clinico i volontari vengono divisi in due gruppi: a un primo gruppo viene somministrato il vaccino, mentre il secondo gruppo (il cosiddetto gruppo di controllo) riceve un placebo (una sostanza senza alcun effetto sull’organismo).

I volontari conducono la propria vita normalmente e dopo un dato periodo di tempo i ricercatori verificano quanti di loro hanno sviluppato l’infezione da SARS-CoV-2 e quanti no, sia nel gruppo dei vaccinati sia nel gruppo dei soggetti cui è stato somministrato il placebo. Viene poi calcolato il rapporto tra quanti si sono ammalati di COVID-19 e quanti non si sono ammalati in ciascun gruppo.

Per semplificare, se il vaccino funziona la percentuale di persone ammalate nel gruppo dei vaccinati è inferiore a quella del gruppo dei non vaccinati.

È bene sottolineare che i vaccini non possono essere confrontati del tutto tra loro: gli studi clinici infatti, benché mantengano indicativamente le stesse procedure e le stesse fasi, sono condotti su persone diverse e in contesti differenti (luogo geografico, condizioni, stile di vita).

Se l’efficacia è un dato importante, non è però l’unico di cui tenere conto: occorre infatti ricordare che il vaccino serve soprattutto a limitare lo sviluppo di forme severe di malattia, che potrebbero richiedere l’ospedalizzazione e condurre alla morte. Per questo, la disponibilità di diversi tipi di vaccino è una ricchezza: perché permette di ampliare l’offerta dei vaccini disponibili e contribuire allo svolgimento delle campagne vaccinali.

Tutti e tre i vaccini disponibili (ma anche Johnson & Johnson e Sputnik V) hanno dimostrato un’efficacia pari a quasi il 100% nel prevenire le forme gravi di malattia, come si vede nella tabella pubblicata su JAMA (Journal of the American Medical Association), una delle riviste scientifiche più autorevoli al mondo. Pertanto da un punto di vista di impatto sulla salute pubblica, i vaccini disponibili sono equiparabili e contribuiscono in egual modo a ridurre la necessità di ricovero ospedaliero per forme severe di COVID-19.

La vaccinazione è un diritto e un dovere

Come sappiamo, la somministrazione dei vaccini è regolata dal piano nazionale di vaccinazione che prevede più fasi. La campagna vaccinale è in corso e i tempi previsti per l’immunizzazione della popolazione generale sono ancora lunghi.

Ciononostante è fondamentale ribadire come tutti sono chiamati a fare la propria parte vaccinandosi quando sarà il proprio momento: la vaccinazione è un diritto ed è un dovere perché proteggendo noi stessi contribuiamo a proteggere gli altri e dunque l’intera comunità, difendendo dal virus anche coloro che non possono vaccinarsi.

In questa fase in cui la pandemia è ancora nel pieno del suo corso e il virus SARS-CoV-2 non accenna a diminuire la propria virulenza, ma anzi pone nuove sfide anche per via delle varianti, il vaccino – qualunque vaccino tra quelli approvati finoracontribuisce in maniera significativa a prevenire forme severe di malattia e pertanto è prezioso.

Le reazioni avverse osservate durante la campagna vaccinale

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) conduce una costante attività di farmacovigilanza sui vaccini anti COVID-19 a cadenza mensile.

Nei vaccinati con i vaccini a mRNA (Pfizer-BioNtech e Moderna) le reazioni osservate con maggior frequenza in questi mesi di campagna vaccinale sono state: febbre, mal di testa, dolori muscolari o articolari, reazioni nel punto dell’iniezione e la stanchezza. Tutte reazioni lievi o moderate che si sono risolte in poche ore o in pochi giorni, spesso senza la necessità di assumere antidolorifici o altri farmaci.

Nei soggetti vaccinati con il vaccino a vettore virale (Vaxzevria (ex AstraZeneca) sono state più frequentemente osservate le seguenti reazioni avverse: febbre, mal di testa, dolori muscolari o articolari. Anche in questo caso si tratta di reazioni lievi o moderate che si sono risolte in poche ore o in pochi giorni, spesso senza la necessità di assumere antidolorifici o altri farmaci.

Come per tutti i farmaci è possibile, sebbene in casi rarissimi, che si verifichino reazioni di tipo allergico fino allo shock anafilattico. In seguito all’iniezione, inoltre, possono aversi anche reazioni di tipo ansioso con fenomeni vaso-vagali che vanno dalla sensazione di stare per svenire fino allo svenimento vero e proprio. Le vaccinazioni vengono pertanto eseguite in contesti sicuri da personale specializzato ed è previsto un periodo di osservazione di almeno 15 minuti dopo la vaccinazione.

Vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca) e rischio di trombocitopenia e disturbi della coagulazione

In diversi Paesi europei sono stati riportati casi di eventi tromboembolici a seguito della somministrazione del vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca), alcuni dei quali hanno portato a sospensioni locali di specifici lotti del vaccino o del vaccino stesso.

Dopo la somministrazione del vaccino è stata osservata, in casi molto rari, una combinazione di trombosi e trombocitopenia (carenza di piastrine nel sangue), talvolta associata a sanguinamento. Questo ha incluso casi gravi (di cui alcuni con esito fatale) che si sono presentati come trombosi venosa, anche in aree insolite come: trombosi cerebrale dei seni venosi, trombosi venosa mesenterica e trombosi arteriosa in concomitanza con trombocitopenia.

È stata così condotta un’indagine completa da parte del PRAC (Pharmacovigilance Risk Assessment Committee), il comitato dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) responsabile della valutazione degli aspetti riguardanti la gestione del rischio dei farmaci per uso umano. L’indagine ha confermato che i benefici del vaccino superano i rischi, nonostante un possibile collegamento con i casi molto rari di trombi associati a un basso livello di piastrine. Finora, la maggior parte dei casi segnalati si è verificata in donne di età inferiore a 60 anni entro due settimane dalla vaccinazione.

È stato pertanto raccomandato:

– l’aggiornamento delle informazioni sul vaccino, alla luce di quanto finora noto;

– di non sottovalutare i seguenti sintomi nelle settimane successive all’iniezione: fiato corto, dolore al petto, gonfiore alle gambe, persistente dolore addominale (pancia), sintomi neurologici, come mal di testa grave e persistente o visione offuscata, minuscole macchie di sangue sotto la pelle oltre il sito di iniezione.

– di continuare la segnalazione di sospette reazioni avverse all’Agenzia Italiana del Farmaco.

Una circolare del Ministero della Salute del 7 aprile 2021 raccomanda un uso preferenziale del vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca) nelle persone di età superiore ai 60 anni. Alla luce dei dati a oggi disponibili, chi ha già ricevuto una prima dose del vaccino Vaxzevria, può completare il ciclo vaccinale con il medesimo vaccino.

Il vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca) sarà pertanto offerto ai soggetti dai 60 anni, a eccezione di coloro che appartengono alle categorie estremamente fragili o di disabilità grave: per questi casi è appropriato un vaccino a mRNA.

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