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Diabete: i sintomi, i valori e la dieta

Il diabete mellito è una malattia cronica che solo in Italia interessa oltre tre milioni di persone (il 5,3% della popolazione).

È caratterizzata da una condizione di iperglicemia, ovvero un’eccessiva presenza di zuccheri (glucosio) nel sangue, a sua volta conseguente a una carenza (per insufficiente o assente produzione) o a una ridotta azione dell’insulina, l’ormone prodotto dal pancreas e deputato al controllo del livello ematico di zuccheri (glicemia).

Quali sono i sintomi del diabete e cosa mangiare in presenza di diabete ? Ne parliamo con il dottor Marco Mirani, Capo Sezione Diabetologia presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano.

Diabete tipo 1 e diabete tipo 2

Il diabete mellito si distingue principalmente in:

  • Diabete di tipo 1, detto anche diabete giovanile o insulino-dipendente: insorge infatti tipicamente prima dei 30 anni, in particolare nell’infanzia o in età adolescenziale, per la completa assenza della secrezione dell’insulina conseguente alla distruzione delle beta-cellule del pancreas che la producono. Riguarda il 5-10% dei diabetici.
  • Diabete di tipo 2, detto anche diabete insulino-resistente o senile. Insorge tipicamente in età adulta (di solito dopo i 30-40 anni) ed è caratterizzato da un difetto (che può peggiorare nel tempo) nella produzione dell’insulina da parte del pancreas, che si instaura su una preesistente condizione di insulino-resistenza, ovvero una resistenza all’azione dell’insulina che si verifica, in particolare, nel fegato, nel tessuto muscolare e in quello adiposo. A causa di questa resistenza, l’insulina non riesce a svolgere la propria funzione a livello degli organi bersaglio, con conseguente eccessiva produzione di glucosio da parte del fegato e una sua ridotta utilizzazione da parte dei muscoli. Negli ultimi anni sono stati poi individuati altri meccanismi che possono concorrere allo sviluppo del diabete tipo 2, per esempio un deficit del sistema incretinico (ossia il sistema che di ormoni intestinali che si attiva in risposta al pasto) o un eccesso di riassorbimento del glucosio a livello renale, che oggi sono bersagli di terapie specifiche. Il diabete tipo 2 riguarda circa il 90% della totalità dei diabetici ed è in crescita: per il 2030 si prevedono più di 400 milioni al mondo di persone affette da questa condizione. L’aumento della patologia è legato da un lato al progressivo invecchiamento della popolazione e alla diffusione di abitudini alimentari scorrette e, dall’altro, all’incremento di diagnosi precoci e alla diminuzione del tasso di mortalità dei pazienti diabetici.

Un’altra particolare forma di diabete mellito è il diabete gestazionale, così chiamato perché diagnosticato la prima volta durante la gravidanza (comprende, quindi, sia forme insorte durante la gestazione sia forme preesistenti ma non diagnosticate). Secondo le stime riguarda il 7-8% di tutte le gravidanze e la sua presenza comporta un aumento del rischio di complicazioni materno-fetali. 

Vi sono infine altre forme di diabete che possono essere connesse a difetti genetici, patologie del pancreas, o indotte da alcuni farmaci (per esempio il cortisone) e sostanze chimiche.

Diabete: cause e fattori di rischio

In generale, le cause esatte del diabete mellito non sono chiare, ma si riconosce una interazione tra fattori genetici (familiarità) e fattori ambientali (tra cui l’alimentazione, lo stile di vita, il contatto con specifici virus eccetera). 

Nello specifico, il diabete di tipo 1 è causato da un’assenza di produzione di insulina in seguito alla distruzione delle cellule pancreatiche che la producono. Sembra che alla base della distruzione di tali cellule ci sia un meccanismo autoimmune, cioè una reazione del sistema immunitario diretta contro l’organismo stesso e, in particolare, contro le cellule del pancreas: la patologia si manifesta infatti con la presenza nel sangue di anticorpi diretti contro antigeni presenti a livello delle cellule che producono l’insulina. Non si conosce ancora la causa effettiva di questa reazione immunitaria anomala, ma sembrano entrare in gioco fattori ereditari su cui agiscono fattori ambientali, in particolare alcune infezioni virali.

Il diabete di tipo 2 è considerato una malattia multifattoriale. La familiarità per la patologia sembra giocare un ruolo importante: circa il 40% delle persone con diabete di tipo 2 ha infatti parenti di primo grado (genitori o fratelli) affetti dalla stessa malattia. Attenzione però: non si eredita il diabete ma la predisposizione al suo sviluppo ed è la compresenza di altri fattori di rischio che può contribuire all’insorgenza della malattia. Questi altri fattori comprendono: 

  • avanzare dell’età
  • stile di vita sedentario
  • alimentazione troppo ricca di grassi e zuccheri
  • stress
  • ipertensione
  • sovrappeso 
  • obesità.

In particolare, fra diabete, sovrappeso e obesità esiste una relazione moltiplicativa e pericolosa: il tessuto adiposo in eccesso che si riscontra  nell’obesità e sovrappeso determina una minore efficacia dell’azione dell’insulina nei tessuti periferici (insulino-resistenza). Ciò, a sua volta, determina iperinsulinemia (cioè elevati livelli di insulina nel sangue), spesso non efficace nel controllare la glicemia, ma concausa di altre malattie correlate all’obesità, come ipertensione, sindrome delle apnee ostruttive, dislipidemia e aterosclerosi. Così un paziente con obesità ha una probabilità molta elevata di diventare diabetico, assai più alta di quella di una persona con un peso nella norma: oltre il 20% delle persone con obesità ha infatti il diabete di tipo 2. 

I fattori che possono favorire l’insorgenza di diabete gestazionale sono:

  • Familiarità per diabete mellito tipo 2
  • Età della gestante superiore ai 35 anni
  • Diabete mellito gestazionale in una gravidanza precedente
  • Macrosomia fetale (ovvero neonato con peso alla nascita superiore a 4 kg) in una gravidanza precedente
  • Sovrappeso/obesità prima della gravidanza
  • Gruppo etnico di appartenenza
  • Sindrome dell’ovaio policistico.

Diabete: quali sono i sintomi?

I sintomi del diabete dipendono dai livelli di iperglicemia e per questo la patologia può restare a lungo silente. Nel diabete di tipo 2, poiché i livelli di glicemia tendono a innalzarsi gradualmente, possono passare anni prima della comparsa dei sintomi, nel diabete di tipo 1, invece, la sintomatologia tende a insorgere in modo più rapido e più grave. 

In genere, nei casi di glicemia molto alta, si avvertono:

Nei casi più gravi possono comparire anche;

  • confusione mentale
  • perdita di coscienza. 

Il protrarsi nel tempo dell’iperglicemia può determinare danni ai vasi sanguigni che, a seconda dei distretti corporei interessati, aumentano il rischio di complicanze

  • neurologiche: neuropatie dovute a un’alterazione anatomica e funzionale del sistema nervoso centrale, periferico e volontario, deficit sensitivi, motori, visivi, acustici;
  • renali: nefropatie con danno alle strutture filtranti del rene (glomeruli e tubuli renali) che può portare in casi estremi alla dialisi (in Italia il 30% dei pazienti in terapia dialitica sono diabetici);
  • oculari: retinopatie con conseguente peggioramento della vista fino alla cecità
  • cardio-cerebrovascolari: infarto miocardico o cardiopatia ischemica, ictus cerebrale, arteriopatia degli arti inferiori.

Il diabete gestazionale molto raramente si manifesta con i tipici segni e sintomi della glicemia elevata, poiché fortunatamente i programmi di screening ne consentono la diagnosi in fase precoce.

La sua presenza, se non adeguatamente trattata, aumenta il rischio di complicanze materno-fetali.

Gli esami per il diabete e i valori

Per diagnosticare il diabete è necessario un esame del sangue che misura i valori della glicemia. Se necessario il medico può prevedere anche la valutazione, sempre su un campione di sangue, di un altro parametro, quello dell’emoglobina glicata.

Il diabete viene diagnosticato in presenza di due valori di glicemia a digiuno maggiori di 126 mg/dl riscontrati in due giornate differenti, o di un valore  di emoglobina glicata superiore a 6,5% o, ancora, quando viene individuato un valore casuale di glicemia superiore a 200 mg/dl in presenza di alcuni sintomi tipici (poliuria, polidipsia, calo ponderale non altrimenti giustificato).

Quando sono riscontrati valori di glicemia superiori a 100 mg/dl a digiuno (ma non superiori a 126 mg/dl) si parla di prediabete. 

Per quanto riguarda il diabete gestazionale, la diagnosi si effettua ricorrendo, in casi selezionati, a un esame del sangue specifico, noto come curva glicemica o curva da carico orale di glucosio. In questo caso la glicemia viene misurata su tre campioni di sangue: uno prelevato a digiuno, un secondo dopo un’ora e il terzo dopo due ore dall’assunzione per bocca di una soluzione con 75 g di glucosio. I valori inferiori ai 92 mg/dl a digiuno, inferiori ai 180 mg/dl a 1 ora e inferiori ai 153 mg/dl a 2 ore indicano una condizione di salute normale, mentre anche un solo valore superiore a tali limiti consente di porre la diagnosi di diabete gestazionale. 

La terapia per il diabete

La terapia dipende strettamente dal tipo di diabete. 

In caso di pre-diabete, per esempio, potrebbero essere sufficienti delle modifiche al proprio stile di vita. La necessità di un supporto farmacologico sarà valutata caso per caso. 

Per il diabete di tipo 1 è necessaria una terapia insulinica, ovvero la somministrazione di insulina tramite iniezioni sottocutanee o microinfusori (sistemi di infusione continua), unita a un corretto stile di vita (con attenzione all’alimentazione e all’attività fisica). Il trattamento è richiesto per tutta la vita e se seguito correttamente permette di condurre una vita pressoché normale, prevenendo l’insorgenza di complicanze.

Resta fondamentale, per l’adeguato trattamento del diabete tipo 1 e delle possibili complicanze, accedere a centri ove vi sia interazione tra i vari specialisti (diabetologi, oculisti, nefrologi, cardiologi) e utilizzo di tecnologie di ormai provata efficacia  (microinfusori e sensori glicemici). 

Per quanto riguarda il diabete di tipo 2 si hanno a disposizione diverse opzioni di trattamento ma, poiché non esiste un’unica terapia farmacologica valida per tutti, è necessario un percorso terapeutico personalizzato sulla base delle necessità e delle caratteristiche del singolo paziente. Come per il diabete di tipo 1, anche in questo caso è importante accedere a centri specialistici ove vi sia interazione tra i vari specialisti (diabetologi, oculisti, nefrologi, cardiologi) per l’adeguato controllo dei fattori di rischio e lo screening delle complicanze nonché la cura delle stesse e utilizzo di terapie innovative. 

Poiché obesità e sedentarietà sono importanti fattori di rischio, una corretta alimentazione e un’attività fisica costante sono basilari per il trattamento del diabete: solo il 10% dei pazienti con diabete di tipo 2 mantiene però un buon controllo della malattia in assenza di trattamento farmacologico nel tempo.

Le linee guida nazionali e internazionali raccomandano quindi di associare alla terapia educazionale (legata allo stile di vita) la terapia farmacologica, non solo per correggere i sintomi e i segni della malattia e prevenire le complicanze acute e croniche, ma anche per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita del paziente diabetico.

La terapia mira a:

  • raggiungere valori di emoglobina glicata inferiore a 7% (53 mmol/mol) in pazienti con diabete di tipo 2 trattati con farmaci non associati a ipoglicemia.
  • mantenere i valori pressori diastolici (pressione minima) <80 mmHg e sistolici (pressione massima) <130 mmHg
  • portare i valori di colesterolo LDL al di sotto dei target suggeriti per le diverse classi di rischio cardiovascolare secondo le linee guida ESC (Società Europea di Cardiologia): inferiore a 100 mg/dl per il rischio moderato, inferiore a 70 mg/dl per il rischio alto, inferiore a 55 mg/dl per il rischio molto alto. Tale rischio viene calcolato dal medico sulla base delle caratteristiche cliniche del paziente.

Per il raggiungimento di tali obiettivi, sono disponibili numerose classi di farmaci, che vanno utilizzate in base al corretto inquadramento del paziente. In particolare negli ultimi anni si sono accumulate solide evidenze scientifiche che le nuove classi degli analoghi del GLP-1 (ormone intestinale che facilita la secrezione dell’insulina) e degli inibitori del SGLT-2 (responsabile del riassorbimento dello zucchero a livello renale) conferiscano oltre al potere ipoglicemizzante anche benefici sulla protezione cardiovascolare e renale.

Le attuali linee guida nazionali forniscono quindi le seguenti raccomandazioni:

  • nel paziente senza pregressi eventi cardiovascolari, senza scompenso cardiaco, senza malattia renale la terapia di prima linea è la metformina, seguita se necessario dagli analoghi del GLP-1 e dagli inibitori della SGLT-2;
  • nel paziente con malattia renale i farmaci di prima scelta sono gli inibitori della SGLT-2 e la metformina (se il grado di insufficienza renale lo consente). In seconda battuta gli analoghi del GLP-1;
  • nel paziente con pregresso evento cardiovascolare ma non scompenso cardiaco i farmaci di prima scelta sono la metformina, gli analoghi del GLP-1 e gli SGLT-2 inibitori;
  • nel paziente con scompenso cardiaco la prima scelta sono gli SGLT-2 inibitori, seguiti dagli analoghi del GLP-1 e dalla metformina.

In caso di fallimento degli obiettivi terapeutici o di intolleranza ai precedenti farmaci si possono considerare inoltre: gli inibitori della DPP4, il pioglitazone, l’acarbosio, l’insulina.

In caso di diabete gestazionale, l’obiettivo terapeutico è il controllo costante della glicemia nel corso della gravidanza, così da ridurre al minimo il rischio di complicanze per la madre e il nascituro.

A tale scopo, si consiglia di seguire un’alimentazione corretta, svolgere attività fisica adeguata e costante, monitorare regolarmente la glicemia e sottoporsi, se necessario, a terapia insulinica, tenendo presente che in gravidanza è considerata ottimale una glicemia che si attesta sotto i 90 mg/dl a digiuno e sotto i 130 mg/dl a 1 ora dal pasto.

Nella maggior parte dei casi (95%), comunque, il diabete gestazionale scompare dopo il parto, anche se il rischio di sviluppare il diabete mellito di tipo 2 a 5-10 anni di distanza è sette volte superiore rispetto alla media della popolazione femminile con glicemia nella norma. Ecco perché si raccomanda di sottoporsi a un esame della curva glicemica anche 6-12 settimane dopo il parto; se poi i valori glicemici risultano nella norma, si suggerisce la ripetizione della curva con cadenza triennale. 

Come prevenire il diabete?

Per prevenire l’insorgenza del diabete di tipo 2 è consigliabile adottare un sano stile di vita: è stato infatti dimostrato che lo svolgimento di attività fisica aerobica di moderata intensità della durata di 20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana, associato alla perdita del 10% del peso corporeo, riduce l’incidenza del diabete di tipo 2 del 60%.

Importante anche smettere di fumare, cercare di raggiungere un adeguato peso forma e correggere la dieta: un’alimentazione ricca di acidi grassi saturi (grassi animali) aumenta il rischio di sviluppare il diabete, mentre la parziale sostituzione di questi ultimi con acidi grassi insaturi lo riduce (omega 3).

Infine, si raccomanda a partire dai 40 anni di età, di effettuare un esame del sangue che determini la glicemia plasmatica, a coloro che hanno familiarità di primo grado per diabete tipo 2 o che presentino almeno uno di questi fattori di rischio:

  1. valore della glicemia a digiuno compreso tra 100 e 126 mg/dl (alterata glicemia a digiuno)
  2. indice di massa corporea (indicativo di sovrappeso) superiore a 25

Non è invece possibile prevenire l’insorgenza del diabete di tipo 1, tuttavia, è utile seguire le stesse indicazioni relative allo stile di vita date per il diabete di tipo 2.

Una correzione dello stile di vita prima di un’eventuale gravidanza può aiutare a prevenire anche il diabete gestazionale; anche in questo caso sono utili un’attività fisica regolare, un’alimentazione equilibrata con ridotto introito di zuccheri semplici  e grassi.  In caso di sovrappeso o obesità, infine, è consigliabile cercare di perdere peso prima di concepire un figlio.

Diabete: cosa mangiare

Le persone con diabete di tipo 1 devono seguire un’alimentazione adeguata, ma senza particolari restrizioni. Il fabbisogno calorico viene valutato tenendo conto di:

  • età
  • sesso
  • attività lavorativa
  • attività fisica.

La composizione della dieta per una persona con diabete è sostanzialmente uguale a quella di chi non ne soffre e deve prevedere 10-15% di proteine, 25-30% di grassi – meglio se di origine vegetale – e 55-60% di carboidrati.

Particolare importanza rivestono le fibre vegetali, in particolare quelle idrosolubili, perché riducono i livelli di glucosio e di colesterolo nel sangue e ritardano lo svuotamento dello stomaco.

Le persone con diabete mellito di tipo 2 devono seguire una dieta varia, che privilegi alimenti non processati e alimenti integrali. Questi ultimi conferiscono maggior sazietà rispetto ai prodotti raffinati e rallentano l’assorbimento dei carboidrati tenendo più bassi i valori della glicemia.

Da moderare il consumo di dolci e prodotti che contengono zucchero, vanno evitati i pasti troppo abbondanti, magari ricorrendo a spuntini a metà mattina e metà pomeriggio per evitare di arrivare troppo affamati ai pasti.

Diabete: gli zuccheri nella dieta

In presenza di diabete non è indicata una dieta totalmente priva di zuccheri perché questo favorirebbe un aumento delle quote lipidiche e proteiche, con conseguenti alterazioni metaboliche che possono avere ripercussioni negative per esempio a livello renale. Non devono dunque mancare gli zuccheri complessi, ovvero quelli derivati da pane, pasta, riso, legumi.

Chi soffre di diabete può utilizzare i dolcificanti, ma con moderazione. Per esempio, il fruttosio, lo xilitolo e il sorbitolo sono calorici; inoltre, sia lo xilitolo che il sorbitolo ma anche l’aspartame e la stevia possono avere un effetto lassativo se assunti in quantità eccessiva.

Che cos’è l’indice glicemico degli alimenti

Gli alimenti possono essere classificati in base al loro indice glicemico, ovvero a seconda dell’aumento della glicemia che determinano, confrontato con l’aumento derivante dalla somministrazione di una dose standard di glucosio.

Hanno indice glicemico più basso:

  • lenticchie
  • fagioli
  • ceci
  • latte
  • mele
  • arance.
Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio

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