Che cos’è l’obesità?
L’obesità è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una malattia cronica complessa e recidivante che si caratterizza per un accumulo patologico di grasso corporeo con conseguenze importanti per lo stato di salute e la qualità di vita. L’obesità è uno dei maggiori problemi di salute pubblica a livello mondiale: essa infatti riduce la spettanza di vita e ne peggiora molto la qualità. Per la diagnosi di obesità si usa ancora, nonostante sia un approccio piuttosto semplicistico e inadeguato, l’indice di massa corporea (BMI): quando questo è pari o superiore a 30 parliamo di obesità.
BMI (kg/m2) | |
18.5 – 24.9 | normopeso |
25 – 29.9 | sovrappeso |
30 – 34.9 | obesità di I grado |
35 – 39.9 | obesità di II grado |
≥ 40 | Obesità di III grado |
Il BMI (calcolato come peso in chilogrammi diviso per il quadrato dell’altezza in metri [kg/m2]) è stato ampiamente utilizzato per diagnosticare e stadiare l’obesità tuttavia, esso non dovrebbe essere considerato come unico strumento diagnostico e di stadiazione perché è una misura imperfetta della massa del tessuto adiposo, non misura la distribuzione o la funzione del tessuto adiposo e non tiene conto della presenza di conseguenze sulla salute o sul benessere correlate al peso anche se esiste una chiara correlazione tra il crescere del BMI e lo sviluppo di complicanze a livello di popolazione.
Il BMI è particolarmente soggetto a errori di classificazione negli individui molto muscolosi o con età superiore a 65 anni e fragili in cui la composizione corporea più che il BMI determina il rischio cardiometabolico. Una diagnosi di obesità dovrebbe essere formulata sulla base di una valutazione complessiva della massa di tessuto adiposo della persona utilizzando altre misurazioni antropometriche, come la circonferenza della vita, il rapporto circonferenza vita-fianchi o il rapporto vita-altezza o mediante misura diretta con tecniche quali la bioimpedenziometria (BIA) o la DeXA o della sua funzione e, soprattutto, della presenza di conseguenze associate per la salute o il benessere: metaboliche, fisiche o psicologiche.
Come sostenuto dal rapporto della Lancet Diabetes & Endocrinology Commission dal titolo Definition and diagnostic criteria of clinical obesity, pubblicato sulla rivista The Lancet – Diabetes and Endocrinology, che vede l’importante coinvolgimento del professor Roberto Vettor, Direttore Scientifico e Coordinamento Clinico del Centro per le Malattie Metaboliche e della Nutrizione dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, oggi si fornisce un’identità clinica all’obesità (si parla infatti di obesità clinica), che è una patologia cronica, recidivante e complessa, con sintomi e manifestazioni specifiche, disfunzioni d’organo direttamente associate e limitazione nello svolgimento delle normali attività quotidiane, comprese quelle di cura personale e sussistenza. Con obesità preclinica si definisce invece una condizione associata a un aumento del rischio di obesità clinica e delle patologie associate, tra cui quelle metaboliche, cardiovascolari e renali e alcuni tumori e pertanto altrettanto importante dal punto di vista dell’attenzione clinica e terapeutica.
Perdere peso è un passo decisivo nel trattamento dei problemi di salute legati all’obesità anche se l’obiettivo terapeutico è rappresentato dalla malattia nella sua complessità clinica piuttosto che sul BMI o sulla quantità di adipe. Per raggiungere questi obiettivi è importante attuare cambiamenti nel proprio stile di vita: seguire un’alimentazione adeguata, condurre una vita attiva e dedicarsi con costanza all’attività fisica. Tutto questo però può essere sufficiente per chi è in sovrappeso, mentre in caso di obesità le modifiche dello stile di vita, da sole, non bastano e l’approccio terapeutico diventa più complesso includendo la terapia farmacologica o la chirurgia bariatrica.
Quali sono le cause dell’obesità?
L’obesità clinica è una patologia sistemica e cronica, che comporta un aumento di adipe provocato da cause multifattoriali, come un particolare background genetico, la sedentarietà e/o abitudini alimentari errate. Per questo per trattare l’obesità è necessaria una presa in carico multidisciplinare con l’intervento di medici internisti, endocrinologi, nutrizionisti o dietologi, psicologi, fisiatri, cardiologi, pneumologi, epatologi, nefrologi, chirurghi generali e bariatrici. Non ci sono branche specialistiche della medicina che siano scevre dal considerare l’obesità come un importante elemento patologico come per esempio la ginecologia o l’oncologia.
In generale, l’eccessivo deposito di tessuto adiposo avviene quando si crea uno squilibrio tra introito e consumo energetico. L’eziologia dell’obesità è peraltro molto più complessa di un semplice squilibrio tra apporto energetico e dispendio energetico. Sebbene questa visione consenta una facile concettualizzazione dei vari meccanismi coinvolti nello sviluppo dell’obesità, l’obesità è molto più che il semplice risultato di un’alimentazione eccessiva e/o di una scarsa attività fisica. Possibili fattori nello sviluppo dell’obesità includono: fattori endocrino-metabolici, genetici, comportamentali e psicologici, etnici, culturali ed economici, fattori legati alla nutrizione compresa la storia dell’allattamento al seno, processi legati all’età e alla menopausa nel sesso femminile, la cessazione del fumo.
La genesi dell’obesità può essere ascritta all’alterazione di un dialogo tra le richieste energetiche dei vari organi e i sistemi che controllano l’apporto e l’utilizzazione o dissipazione dell’energia introdotta o immagazzinata. Essa pertanto può originare da un’alterazione dei sistemi neuronali che sentono a livello del sistema nervoso centrale la scarsità di substrati evocando la fame o promuovendo lo stato di sazietà o da un’alterazione dei sistemi di gratificazione e del piacere per cui si deve mangiare di più per essere appagati dal cibo. Si parla infatti di una cervello metabolico e di un cervello edonico che ha un’importanza fondamentale soprattutto nell’uomo. Alla base di una primitiva alterazione di questi centri di integrazione e controllo ci possono essere fattori genetici o ambientali.
I due gruppi di fattori, genetici e ambientali, presentano quindi un equilibrio che si intreccia in modo variabile nello sviluppo dell’obesità. Si presume che i fattori genetici spieghino il 40-70% della varianza nell’obesità, entro un intervallo limitato di BMI (18-30 kg/m²). L’obesità può essere causata anche da un singolo gene (obesità monogeniche (ad esempio alterazioni dei geni della Proopiomelanocortin (POMC) e del gene del recettore 4 della melanocortina (MC4R), del gene della leptina e del suo recettore e le mutazioni del gene per la convertasi e del PPAR-gamma), ma molto più comunemente si tratta di una complessa interazione tra loci di suscettibilità (ad esempio il gene FTO (fat mass and obesity associated) e geni in prossimità del gene MC4R (melanocortin 4 receptor))e fattori ambientali.
Lo stigma che può impedire l’inizio della cura
Negare l’identità clinica dell’obesità come patologia complessa e multifattoriale può portare allo stigma sia sociale sia sanitario della malattia, comportando un ritardo nella presa in carico e un’inerzia terapeutica. L’obesità è infatti spesso associata a uno stigma sociale che porta le persone con questa patologia a doversi confrontare con biasimo e/o condizioni di esclusione sociale in ambito familiare, lavorativo o scolastico e sanitario. Identificare l’obesità da un punto di vista clinico con criteri diagnostici non limitati al solo BMI promuove un miglioramento di diagnosi e terapie e aumenta la dignità di una patologia importante.
Quali sono i sintomi dell’obesità?
Le persone con obesità fanno fatica anche per piccoli movimenti, respirano male, possono avere disturbi del sonno e soffrire di dolori da sovraccarico a ginocchia, anca e colonna vertebrale. Soprattutto però l’obesità è considerata fattore di rischio per svariate malattie, essa infatti può associarsi a malattie cardiovascolari (ipertensione arteriosa, infarto, ictus, embolia polmonare), diabete di tipo 2, dislipidemia, apnee notturne, alcuni tipi di tumore, asma, depressione, infertilità femminile, disfunzione erettile, incontinenza urinaria da sforzo.
In particolare, tra i danni d’organo caratteristici dell’obesità ci sono:
- Osteoartrite: colpisce soprattutto le articolazioni di ginocchia e fianchi ed è l’effetto diretto dell’aumento di peso e dimensioni sulle articolazioni. Provoca una diminuzione delle attività quotidiane a causa della riduzione dei movimenti e del decondizionamento dei muscoli scheletrici che causa l’obesità sarcopenica.
- Ostruzione delle vie aeree superiori: provocata dall’aumento della massa grassa, soprattutto del collo, comporta lo sviluppo di disturbi respiratori del sonno, da un aumento dei russamenti all’apnea notturna ostruttiva, alla sindrome da ipoventilazione dell’obesità. I disturbi respiratori del sonno, con ipossia ricorrente e attivazione del sistema nervoso simpatico, possono contribuire allo sviluppo di ipertensione, sindrome metabolica e diabete di tipo 2. L’aumento dell’adiposità intra-addominale e centrale ha inoltre azione sulla compliance diaframmatica e sulla funzionalità polmonare con mancanza di respiro, in particolare nei periodi di maggiore richiesta di ossigeno, come durante l’attività fisica.
- Linfedema degli arti inferiori: associato in particolare all’obesità grave, soprattutto nella popolazione femminile, è provocato dalla compressione meccanica dei vasi linfatici del drenaggio ridotto. Provoca sensazioni di dolore e tensione, con una diminuzione dell’ampiezza di movimento.
- Insufficienza cardiaca: dati epidemiologici, genetici e sperimentali indicano che probabilmente l’obesità accelera l’insufficienza cardiaca attraverso effetti metabolici, emodinamici, meccanici e infiammatori.
- Fibrillazione atriale: che rappresenta una delle aritmie cardiache più frequenti nella persona con obesità.
- Tromboembolia: provocata dagli effetti meccanici che influenzano il flusso del sangue negli arti inferiori e dalla secrezione di fattori pro-trombotici dal tessuto adiposo viscerale.
- Iperglicemia (disglicemia o inappropriata glicemia a digiuno o prediabete): deriva dalla compresenza di resistenza all’insulina e resistenza delle cellule β che hanno origine dalla malattia dell’organo adiposo con deposito di grasso ectopico nelle isole pancreatiche. La persistenza di queste alterazioni può accelerare l’insorgenza di diabete di tipo 2.
- Dislipidemia aterogena: si caratterizza per lo sviluppo di ipertrigliceridemia (chilomicronemia) postprandiale, elevati livelli di trigliceridi plasmatici e particelle VLDL di grandi dimensioni; bassi livelli di colesterolo HDL, crescita dei livelli di colesterolo LDL piccole e dense.
- Disfunzioni gonadiche con infertilità. Nella popolazione femminile iperinsulinemia, resistenza all’insulina e disfunzione ormonale del tessuto adiposo si associano a sindrome dell’ovaio policistico o iperandrogenismo funzionale. Nella popolazione maschile l’obesità provoca ipogonadismo ipogonadotropo con disfunzione erettile e disturbi della spermagenesi.
- Malattia epatica associata a disfunzione metabolica (MASLD): provocata dall’afflusso accelerato di substrati lipidici a livello epatico con conseguente flogosi e fibrosi. Può progredire in steatoepatite (MASH) con livelli crescenti di fibrosi e un aumento di rischio di cirrosi, insufficienza epatica e carcinoma epatocellulare.
- Malattia renale provocata da un danno renale caratterizzato da glomerulopatia associata all’obesità. La causa è complessa e potrebbe essere associata a processi ormonali o metabolici, emodinamici e infiammatori che si sviluppano con l’aumento della massa grassa.
- Incontinenza urinaria: comune nella popolazione femminile, è associata all’aumento di pressione intra-addominale combinata con una disfunzione del pavimento pelvico.
- Ipertensione intracranica idiopatica con mal di testa progressivi e severi e/o perdita della vista.
- Depressione: obesità e depressione hanno una relazione bidirezionale e condividono vari presunti percorsi patogenetici. Condizioni associate all’obesità come disturbi del sonno, disturbi alimentari, disabilità, stigma del peso, compromissione psicosociale e bassa autostima, agiscono compromettendo la qualità della vita con entrambe le condizioni.
- Danni alla cute, con infiammazioni ed eruzioni cutanee che predispongono a infezioni, per la maggior parte nelle aree di contatto pelle a pelle, come sotto ascelle e seno, parte inferiore dell’addome, inguine e cosce. I danni cutanei sono provocati anche da insufficienza venosa degli arti inferiori, linfedema e lipedema.
L’obesità si associa inoltre all’insorgenza di alcuni tumori. L’obesità è il secondo fattore di rischio, tra quelli classificati “evitabili”, per tumori come quelli a carico dell’apparato digerente (tumore dell’esofago, tumore dello stomaco, tumore del pancreas, tumore del fegato, tumore della colecisti, tumore del colon-retto), quelli che interessano la popolazione femminile (tumore del seno, tumore dell’ovaio, tumore dell’utero), il tumore del rene, il tumore della tiroide e, nella popolazione maschile, il tumore della prostata. Tra i tumori che possono avere un aumento di rischio associato a obesità ci sono anche mieloma multiplo, meningioma e leucemia promielocitica acuta, per quanto con un legame meno importante rispetto agli altri tumori citati. L’associazione tra obesità e tumori è in particolar modo associata all’aumento di stato infiammatorio e alla sovrapproduzione di ormoni della crescita e sessuali causata dall’eccesso di grasso corporeo.
Come prevenire l’obesità?
La prevenzione dell’obesità come malattia cronica multifattoriale richiederebbe la rimozione dei fattori prima descritti che vanno dagli aspetti ambientali, sociali, economici, culturali e comportamentali, ma può iniziare da una particolare attenzione già rivolta alle persone ancora sovrappeso. È fondamentale correggere gli stili di vita scorretti. Il primo punto è seguire un’alimentazione equilibrata, in particolare è consigliata la dieta mediterranea, grazie al suo apporto di verdura, legumi e cereali integrali. In generale si dovrebbe mangiare più volte al giorno verdura e frutta, ridurre al minimo le calorie liquide (alcol e bibite), preferire proteine a basso o nullo contenuto di grassi saturi (pesce, legumi, carni bianche), mangiando invece raramente formaggio e carni rosse. Le carni lavorate (insaccati e simili) non solo si accompagnano a troppo sale e grassi saturi, ma si associano anche allo sviluppo di alcuni tumori. I carboidrati vanno assunti in maniera equilibrata e preferibilmente integrali. Accanto a una corretta alimentazione è importante adottare un regolare esercizio fisico: una persona adulta dovrebbe dedicarsi con regolarità a un’attività fisica moderata, come la camminata veloce, il nuoto, la bicicletta. Le persone interessate da sovrappeso devono tenere monitorato il proprio peso con l’aiuto di uno specialista dietologo.
Obesità: come si fa la diagnosi
La diagnosi di obesità si basa ancora sull’indice di massa corporea (BMI), che quando è pari o superiore a 30 indica obesità, nonostante sia un parametro inadeguato e semplicistico. L’indice di massa corporea si calcola dividendo il peso espresso in chilogrammi (kg) per il quadrato della statura espressa in metri (m). La formula è BMI = Kg / m2. Il BMI, però, non misura direttamente il grasso corporeo e non distingue tra massa magra e massa grassa, con il rischio di sottostimare o sovrastimare l’impatto dell’adiposità sulla salute generale dell’individuo. Accanto al BMI è fondamentale affiancare altri criteri diagnostici e misurazioni, come:
- Circonferenza vita/altezza (deve essere misurata appena sopra l’ombelico) ed è considerata “desiderabile” se è inferiore a 94 centimetri nei maschi e 80 nelle femmine. Se il valore è superiore si è in presenza di distribuzione addominale del tessuto adiposo, condizione predisponente a diabete, ipertensione arteriosa, dislipidemia).
- Bioimpedenziometria (BIA)
- Densitometria (DEXA)
- Circonferenza del collo (se superiore a cm 41 nelle femmine o cm 43 nei maschi, in presenza di altri fattori, è possibile la presenza di apnee notturne).
- Pressione arteriosa.
- Saturazione in ossigeno del sangue.
- Valori nel sangue di glicemia, emoglobina glicata, colesterolo totale e LDL, trigliceridi, uricemia.
Come trattare l’obesità?
È di esperienza comune il fatto che si possa riuscire a perdere peso a breve termine, ma il recupero di peso è purtroppo un fenomeno frequente che presuppone una gestione del peso continua, intensiva e strutturata che coinvolga un team multidisciplinare che può aiutare un numero significativo di pazienti a mantenere la maggior parte del peso perso.
Qualsiasi programma che affronti in maniera integrata la terapia dell’obesità prevede una fase di screening o di pre-inclusione, la fase del dimagrimento e la fase del mantenimento a lungo termine del peso perso. L’attenzione non va posta solo al peso, ma ancor di più agli elementi patologici che definiscono la obesità clinica e alle sue complicanze traducendosi in benefici estesi per il paziente con riduzione del rischio di morbilità e mortalità.
La gestione clinica e terapeutica dell’obesità richiede l’intervento di professionisti esperti perché non è scevra da rischi che in primis sono dati dalla ripresa ciclica del peso o dal presentarsi di patologie quali la colelitiasi o da conseguenze psicologiche tra cui depressione e sviluppo di disturbi del comportamento alimentare.
Ultimo aggiornamento: Maggio 2025
Data online: Febbraio 2017