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Trombosi, i fattori di rischio e i segnali cui prestare attenzione

Si parla di trombosi in seguito alla formazione di coaguli di sangue, i cosiddetti trombi, nei vasi sanguigni; la cui formazione ostacola la normale circolazione del sangue. I trombi possono anche frammentarsi e raggiungere, sotto forma di emboli, diversi distretti dell’organismo causando così patologie come l’infarto del miocardio, lo stroke (infarto cerebrale) o l’embolia polmonare.

La trombosi è poco nota, seppur potenzialmente letale. Da un recente sondaggio dell’Associazione Lotta alla Trombosi e alle Malattie Cardiovascolari (ALT), è emerso che le malattie da trombosi sono note a circa il 30% degli italiani.

Nel contrastare questa patologia è fondamentale conoscere i fattori di rischio e i segnali da non sottovalutare. Come spiega il dottor Corrado Lodigiani, Responsabile del Centro Trombosi e Malattie Emorragiche di Humanitas: “Più è precoce la diagnosi e più tempestivamente viene impostata un’adeguata terapia, e tanto più efficace è il trattamento dell’evento acuto e delle complicanze più gravi e potenzialmente letali, come l’embolia polmonare nel caso di un paziente con una trombosi venosa”.

Trombosi venosa profonda e superficiale

I trombi possono formarsi in un’arteria (trombosi arteriosa o infarto) o in una vena. Se la formazione avviene in una vena profonda si parla di trombosi venosa profonda, quando invece a essere colpito è un vaso del circolo venoso superficiale si parla di trombosi venosa superficiale (comunemente nota anche come tromboflebite).

“A essere interessati sono soprattutto gli arti inferiori per una questione legata alla stasi e alla posizione eretta sebbene qualunque vena possa essere colpita, anche le vene dell’encefalo, dell’addome o dell’occhio”, sottolinea il dottor Lodigiani.

I segnali da non sottovalutare

“Il tromboembolismo venoso spesso è poco sintomatico ed è dunque difficile da riconoscere precocemente, pertanto viene individuato solo quando si sono già verificate le complicanze. In altri casi invece i sintomi sono più chiari e specifici. Ne sono un esempio l’aumento di volume, il dolore ma anche l’arrossamento e una sensazione di calore cutaneo a carico dell’arto colpito. L’associazione di tutti questi sintomi deve far subito pensare a una trombosi venosa, che deve essere rapidamente diagnosticata o esclusa mediante un’ecografia”, raccomanda il dottor Lodigiani.

Dal trombo venoso si possono anche staccare degli emboli, ovvero dei frammenti, che possono raggiungere il polmone: “Il sintomo principale dell’embolia polmonare è un’improvvisa difficoltà a respirare (detta dispnea), in particolare sotto sforzo (per esempio quando si cammina o si corre) ma anche a riposo. Il dolore toracico è un altro sintomo, e può anche aversi, seppur meno frequentemente, tosse con espettorato di sangue. Infine si può avvertire un’aritmia, che può essere così grave da portare a morte improvvisa”, ha sottolineato lo specialista.

Le cause della formazione dei trombi

L’aterosclerosi è il principale meccanismo della trombosi arteriosa; l’aterosclerosi è caratterizzata dalla formazione di depositi di placca ateromasica lungo le pareti delle arterie e proprio in corrispondenza di queste placche possono formarsi i coaguli di sangue che provocano l’occlusione acuta del vaso colpito e quindi una trombosi. Ipertensione, ipercolesterolemia, sovrappeso, obesità e dipendenza dal fumo di sigaretta, i cosiddetti fattori di rischio cardiovascolare di tipo ambientale, sono associati all’aterosclerosi.

La tendenza alla formazione di trombi nel sistema venoso può essere invece correlata a una condizione predisponente di tipo genetico, che in genere determina un’ipercoagulabilità, ovvero una tendenza del sangue a coagulare di più. Nella maggior parte dei casi, però, la probabilità di eventi trombotici, anche nei soggetti geneticamente predisposti, aumenta in presenza di altri fattori di rischio. Alcuni di questi sono ritenuti modificabili perché associati allo stile di vita; ne sono un esempio la sedentarietà oppure una dieta scorretta che conduce a un accumulo di peso corporeo in eccesso o a un aumento dei livelli di colesterolo nel sangue.

Sono poi associati alla trombosi venosa l’immobilità prolungata e forzata, come accade a chi è ricoverato in ospedale, l’aver subito un intervento chirurgico, la gravidanza, la presenza di una malattia infiammatoria cronica o di un tumore.

I contraccettivi orali

Anche l’assunzione di contraccettivi orali è legata a un maggior rischio di trombosi: “Questi farmaci riducono i livelli di proteine che mantengono il sangue più fluido (proteine anticoagulanti). L’assunzione di contraccettivi da parte di donne con predisposizione genetica alla trombosi, che siano obese o in sovrappeso e dipendenti dal fumo di sigaretta, le espone a un rischio ancora maggiore”, sottolinea il dottor Lodigiani.

Le formulazioni di ultima generazione sono correlate a un rischio più elevato: “Rispetto alle precedenti, quelle di terza e quarta generazione contengono un maggior livello di estrogeni e progestinici e tale rischio non è ridotto nelle formulazioni transdermiche (cerotti). È dunque indicato utilizzare con cautela questi contraccettivi se le donne sono fumatrici, sono obese o in sovrappeso e soprattutto se presentano una familiarità per eventi trombotici; solo nelle donne con familiarità o che hanno già avuto eventi vascolari è opportuno inoltre eseguire dei test (screening di trombofilia) per documentare la presenza di alterazioni che possano pesare sul rischio di eventi trombotici, prima di assumere dei contraccettivi orali”, ha concluso lo specialista.

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