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Tumore della prostata: test Psa sotto accusa

Autorevoli specialisti americani mettono in discussione l’utilità del tradizionale esame di screening.

Il test più diffuso per individuare il rischio di un tumore della prostata, ossia la misura dell’antigene prostatico specifico (Psa), è ancora una volta sotto accusa. Un rapporto della commissione governativa degli Stati Uniti per la medicina preventiva (United States Preventive Services Task Force), anticipato sulle pagine dell’autorevole New York Times, mette nuovamente in discussione l’utilità del diffusissimo test di screening. Approvato dalla FDA (Food and Drug Administration, l’organismo statunitense che regola la vendita di generi alimentari e farmaci) nel lontano 1986 ed effettuato annualmente da milioni di uomini di mezza età, il test è ritenuto ancora valido dai suoi (molti) sostenitori sulla base dell’assunto che la diagnosi precoce di un tumore alla prostata possa rendere più probabile una prognosi positiva.

Gli studi più recenti, invece, pur non essendo conclusivi, suggeriscono che il test di misura del Psa non sembra avere l’effetto di diminuire la mortalità se non in misura marginale. Virginia Moyes, capo della task force, afferma: “Sfortunatamente le evidenze mostrano che questo test non salva la vita agli uomini, perché non predice le differenze tra i tumori che saranno sintomatici e quelli che non lo saranno. Dobbiamo trovare un sistema differente”. Secondo la commissione, le terapie e i test diagnostici, cui vengono sottoposti gli uomini a seguito di un esito positivo del test della Psa (comunque non considerato conclusivo per la diagnosi di cancro alla prostata), causano dolori e spese inutili. Avevamo già scritto sull’argomento (“Tumore alla prostata, ancora aperto il dibattito sullo screening Psa”), a seguito della pubblicazione di un importante studio finanziato dalla Swedish Cancer Foundation e pubblicato sul British Journal of Medicine. Il prof. Pierpaolo Graziotti, vicepresidente di AURO (Associazione Urologi Italiani) e responsabile dell’unità operativa di urologia di Humanitas Cancer Center, commenta il lavoro della task force Statunitense.

Prof. Graziotti, alla luce delle nuove dichiarazioni, cosa possiamo dire del test Psa?
“Lo screening PSA ha una sensibilità relativamente bassa: può risultare alterato, oltre che per la presenza di un tumore, anche per varie altre cause, specialmente nei soggetti più anziani. È provato che, fra uomini che hanno valori Psa fuori dalla norma, ciò non sia riconducibile ad una diagnosi di cancro almeno sette volte su dieci; per questo motivo, un test Psa positivo non può, nemmeno in presenza di valori notevolmente alterati, essere considerato come diagnosi definitiva di un carcinoma prostatico. Per la stessa ragione, non lo consiglierei in ogni caso come metodo di screening per le persone sane; l’esame può avere invece ancora una notevole utilità se utilizzato su un numero più ristretto di soggetti, selezionati dal medico sulla base di una serie di parametri (il cosiddetto “screening opportunistico”). Ad esempio, il discorso cambia radicalmente se interviene il fattore di familiarità: le persone che hanno storie di tumori alla prostata fra i familiari diretti dovrebbero essere costantemente monitorate a partire dal quarantesimo anno di età”.

Esistono persone cui non consiglierebbe affatto di eseguire uno screening del Psa?
“Anche dal momento che l’età moltiplica i motivi per i quali la prostata potrebbe essere infiammata, anche a parere dei suoi più autorevoli sostenitori, questo metodo di screening diventa inutile negli individui che abbiano superato i 74 anni. La lentezza di sviluppo tipica del carcinoma prostatico rende molto improbabile che la vita di questi soggetti possa esserne minacciata. In altre parole, sebbene sia il tumore con la maggiore incidenza nella popolazione maschile, la grande maggioranza degli uomini nei quali si sviluppa non muore a causa di esso. Considerati gli effetti collaterali connessi alle terapie, che possono incidere sulla qualità della vita (specialmente delle persone anziane), molto spesso intervenire non porta davvero alcun vantaggio; di conseguenza, è sempre molto importante che tutti i pazienti siano informati in maniera esauriente delle alternative terapeutiche e delle conseguenze cui si va incontro scegliendo un percorso invece di un altro. Per concludere, il test Psa è uno strumento certamente ancora valido, a condizione che siano adottati principi più restrittivi. Ritengo inoltre che, sulla base della recente letteratura e della mia esperienza, dovrebbero essere rivisti in senso riduttivo anche i criteri in base ai quali si decide di intervenire sui tumori alla prostata”.

A cura della Redazione

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