Il trauma cranico è la prima causa di disabilità tra i giovani tra i 15 e i 35 anni. Come prevenirlo e come si cura? Ne ha parlato il professor Franco Servadei, professore di Neurochirurgia in Humanitas University e Presidente della Federazione Mondiale di Neurochirurgia, ospite in studio a Uno Mattina.
“Il trauma cranico non è una malattia, ma è un evento accidentale che in molti casi è prevenibile. Si pensi all’introduzione nel 2003 della Legge sul casco in Italia, che ha ridotto dei due terzi i giovani ricoverati in neurochirurgia per traumi e ha prodotto un calo di mortalità, in un solo anno stimato, intorno alle 1.700 persone. È una manovra di prevenzione straordinaria, che si affianca ad altre manovre che stanno dando ottimi risultati, come l’uso delle cinture di sicurezza, la protezione alla schiena dei motociclisti e il tutor nelle autostrade.
Si registra però un aumento delle cadute accidentali in casa nella popolazione anziana. Un aumento che purtroppo sta pian piano compensando la diminuzione che registriamo nei giovani”, spiega il prof. Servadei.
Un soccorso specializzato
“Il soccorso medico di un trauma grave in generale e di un trauma cranico in particolare, che è la prima causa di morte nel trauma generale, è estremamente complesso. Dobbiamo infatti avere un soccorso efficace sul luogo dell’incidente, con ambulanze medicalizzate o elicottero per i pazienti più gravi, occorre poi il trasporto in un ospedale attrezzato 24 ore su 24 a ricevere il paziente e a effettuare una diagnostica efficace (TAC e risonanza magnetica in particolare)”, sottolinea lo specialista.
Come si interviene?
“Dopo l’incidente una parte del cervello subisce un danno talmente grave da morire, i neuroni cioè non sopravvivono al trauma: è quello che chiamiamo danno primario. Al momento, su questo non possiamo fare nulla; possiamo solo combattere contro quella parte di cervello intorno a questa lesione che si gonfia e che si espande in una cavità chiusa come il cranio. Questo produce un aumento della pressione all’interno del cranio che normalmente si controlla con terapie mediche, ma laddove non siano efficaci dobbiamo ricorrere alla cosiddetta chirurgia estrema, con l’apertura di una parte del cranio per diminuire la pressione al suo interno. Con questa manovra, come confermano gli studi, diminuisce la mortalità: abbiamo dunque più pazienti che sopravvivono ma abbiamo anche più pazienti che rimangono in coma persistente o con gravissima disabilità. La grande speranza è quella di poter curare il danno primario e anche la ricerca sta continuando a lavorare in questa direzione”, ha concluso il prof. Servadei.
Guarda l’intera intervista al professor Servadei dal minuto 00.22.51, clicca qui
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