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Shopping compulsivo: che cos’è e quali sono i segnali da non sottovalutare

Lo shopping compulsivo è la versione patologica del normale e sano gesto dell’acquisto: se ne snatura cioè la finalità, sostituendo la necessità dell’oggetto con una spinta emotiva patologica, e la modalità non è più una scelta ma un’ossessione.

Sebbene sia difficile fare una stima affidabile, perché è una diagnosi sovradimensionata, si ipotizza che in Italia ne soffra il 5,5% della popolazione. Vi sono poi molte persone che vivono varie forme di disagio correlate allo shopping senza che vi sia ancora un vero problema.

Di shopping compulsivo parliamo con la dottoressa Paola Mosini, psicoterapeuta di Humanitas PsicoCare.

Shopping compulsivo: cosa succede a chi ne soffre?

La persona sente il bisogno non tanto dell’oggetto che vuole comprare, quanto del gesto stesso dell’acquisto. Coloro che ne soffrono peraltro non descrivono più solo il piacere insito nell’andare a fare shopping, quanto piuttosto la tensione, il disagio, il senso di non potersene sottrarre che vivono, arrivando all’attenzione clinica in una condizione talvolta drammatica, perché magari hanno speso tutti i soldi che avevano (a prescindere da quanti fossero), hanno mentito ai loro familiari, utilizzando soldi e risorse di nascosto, omettendo acquisti. Inoltre spesso queste persone hanno una situazione sociale compromessa.

Tuttavia è difficile che questi soggetti arrivino effettivamente pentiti, perché il piacere e il brivido che precedono e accompagnano l’andare a fare acquisti rimane. È come per coloro che sono dipendenti dall’alcol o da sostanze stupefacenti: la parte più difficile nel percorso di aiuto è proprio quella di trovare la giusta motivazione a sospendere qualcosa che continuano a trovare gratificante e appagante.

Nella letteratura scientifica il fenomeno dello shopping compulsivo è spesso associato ad altri disturbi quali depressione, disturbo ossessivo compulsivo, disturbi d’ansia, disturbi alimentari e gioco d’azzardo patologico, la cleptomania. In un continuum tra normalità (il piacere di concedersi una coccola ogni tanto con un piccolo acquisto) e patologia (bancarotta, fallimento sentimentale a causa di debiti e acquisti smodati e ripetuti fra menzogne e accumulo eccessivo di oggetti inutili) troviamo i fashion victim e tante altre sfumature.

Quali sono i sintomi da non sottovalutare?

Il cervello emotivo è sensibile alle gratificazioni: ce ne sono di primarie come il cibo, e di secondarie, più sociali-culturali, come gli acquisti. Fare acquisti è anche un modo di coccolarsi e di sentirsi appagati: in questo senso nessuno si deve sentire sbagliato. I problemi iniziano quando il nostro sistema per trovare appagamento, coccole, consolazione e gratificazione, per “raddrizzare la giornata”, “per sentirci meglio”, passa spesso, se non regolarmente, dall’acquisto, che a questo punto si tramuta in gesto ossessivo. Quindi un campanello di allarme è la frequenza. O quando, seppur non volendolo e non potendolo fare, ci si ritrova quasi senza deciderlo, con un oggetto acquistato. Anche la perdita di volontarietà è un campanello d’allarme da non sottovalutare. Poi c’è l’eccesso (tendenza a comprare cose con prezzi superiori a quelli che effettivamente ci potremmo permettere), ma soprattutto va considerato il significato emozionale che ha il gesto. Quando questo diventa rilevante (bisogno, necessità di appagamento, di gratificazione, senso di astinenza-necessità quasi fisica) dobbiamo stare all’erta e alzare la guardia.

Chi è più a rischio?

Il 95% di chi ne soffre sono donne fra i 20 e i 30 anni, persone che hanno o hanno avuto un altro disturbo della sfera emozionale come ansia, fobie, depressione. Sembra esserci un’alta frequenza di eventi stressanti e avversi nella storia di queste persone, come micro e macro traumatismi. Una storia di Disturbo da Deficit dell’Attenzione (ADHD) è un altro fattore predittivo per questo disturbo. Ci sono poi dati a supporto di una bassa autostima, un basso livello culturale e un’elevata tendenza all’estroversione. Questo disturbo riguarda anche le persone poco inclini alla riflessione del legame tra pensieri-emozioni-comportamenti: potremmo dire quelli che vivono le emozioni in apnea, con bassa consapevolezza, sono predisposti maggiormente all’acquisto compulsivo. Da ultimo citiamo il fatto che la letteratura porta dati discordanti su come le persone con buone capacità relazionali e una rete sociale ben sviluppata, siano più a rischio, o più protette, rispetto a questo problema. Potrebbe essere che una rete sociale renda la gratificazione da acquisto meno necessaria, ma allo stesso tempo una vita sociale intensa potrebbe essere correlata a una bassa capacità di astrarsi da meccanismi di conformismo e bisogno di apparire.

Le domande per capire se si è a rischio

Nonostante l’oniomania (dal greco onios=”in vendita,” mania=follia) sia un termine che fu coniato dallo psichiatra tedesco Emil Kraepelin, con lo psichiatra svizzero Eugen Bleuler – i quali identificarono per la prima volta i sintomi associati già nel corso del tardo diciannovesimo secolo -, ancora oggi la comunità scientifica internazionale, – in particolare facciamo riferimento alll’American Psichiatric Association – non considera lo shopping compulsivo una categoria diagnostica a sé stante, e non rientra quindi nella classificazione ufficiale delle categorie diagnostiche del manuale delle patologie psichiatriche. O meglio, nella sua ultima versione, il DSM-V, il riferimento per le malattie psichiatriche, trova spazio come entità a sé stante, la disposofobia (Hoarding Disorder – a volte descritto anche come Sillogomania, Accaparramento Compulsivo, Accumulo Patologico, Mentalità Messie, Sindrome di Collyer), ovvero la patologia da accumulo, all’interno della quale vi è il sottotipo specifico con acquisto eccessivo, che è circa il 64% dei casi e questi soggetti sono quelli che hanno una forma di disturbo più grave (esordio più precoce, sintomatologia più marcata, maggior probabilità di avere patologie in co-presenza, come ansia, depressione e altre dipendenze).

Sono stati sviluppati vari test, nella forma soprattutto di questionari, per diagnosticare il problema, ma la carenza che hanno questi strumenti è quella di essere poco specifici. Si tratta di un concetto statistico ben preciso, ovvero la capacità del test di identificare effettivamente chi soffre del problema senza dare come risultato troppi falsi positivi. Il risultato è che 3 persone su 4 che risultano avere il disturbo, sulla base dei più recenti test di valutazione, in realtà non lo hanno (verifica attraverso intervista clinica con medico esperto).

Si potrebbe dire che forse questi test manchino anche di accuratezza (altro concetto statistico importante), ovvero la capacità di mirare a un bersaglio e avvicinarcisi sistematicamente a ogni colpo. Anche e soprattutto perché non è chiarissimo quale sia il bersaglio (impulsività, compulsività, accumulo). In effetti il fenomeno da fotografare è complesso e sfumato e c’è chi, fra gli studiosi, lo associa più a un disturbo d’ansia, (compulsività), chi più a un problema degli impulsi, (impulsività), chi più a una vera e propria dipendenza, (tossicofilia). Quindi in sostanza c’è anche poco accordo su cosa effettivamente faccia diagnosi.

Possiamo citare però 4-5 domande target con cui capire se siamo a “rischio”:

  • Quanto spesso compri cose che poi non usi?
  • Quanto spesso ti capita di dirti “ma sì, lo compro, è solo perché è un’occasione ma poi basta, è l’ultima volta”?
  • Quanto spesso fai acquisti per sentirti meglio?
  • Spendi più tempo/soldi del voluto facendo shopping?
  • Quanto spesso acquisti in modo impulsivo per poi pentirti?

I profili psicologici dell’acquisto

Sono sfumature dello stesso fenomeno e possono ritrovarsi nella stessa persona insieme, ma parlarne in termini di entità distinte ci aiuta a mettere in evidenza le caratteristiche salienti del fenomeno.

Ci sono gli impulsivi, ovvero quelli che agiscono l’acquisto senza premeditazione, escono di casa per andare in posta con una raccomandata e tornano con la gonna, la borsetta, presa senza nessuna valutazione circa l’utilità e/o l’entità economica. Spesso poi si pentono dell’acquisto o non lo utilizzano, perché effettivamente non ne avevano necessità e magari l’articolo non corrisponde nemmeno in termini di gusto.

Vi sono poi i seriali e gli accumulatori (disposofobia).  Qui focalizziamo l’altro lato della medaglia rispetto all’impulsività, ovvero la compulsività, il senso di obbligatorietà nel reiterare un gesto che diventa una specie di rituale: ci si focalizza quasi sempre sugli stessi oggetti e spesso si diventa accumulatori (borse, scarpe, orologi, profumi). Ci sono poi quelle persone che non si sbarazzerebbero mai degli oggetti accumulati seppur non li utilizzino mai, come se ci fosse un legame affettivo e un vero e proprio disagio fatto di ansia e panico all’idea di non avere più l’oggetto.  – da notare che più del 50% di chi ha effettivamente una diagnosi di shopping patologico ha un problema di accumulo e nel DSM-V le due cose sono saldamente legate -.

Poi ci sono gli emotional buyers, quelli che a fronte di un litigio, di una giornata storta in ufficio, escono e vanno a fare acquisti come forma di ansiolitico, per sedare emozioni negative, quali tristezza, rabbia; spesso lo fanno inconsciamente, non ne sono consapevoli. A volte, come per il cibo, il risultato sono delle vere e proprie abbuffate di acquisti, perché il gesto è determinato dal bisogno di riempirsi emotivamente e quindi c’è una necessità che può andare oltre al singolo oggetto.

Poi ci sono i vanitosi. Qui l’acquisto è totalmente focalizzato all’apparire speciali, sono quelle persone che magari rimuginano sull’opportunità dell’acquisto combattendo con loro stessi per motivare la necessità di un nuovo cappotto, trovando alla fine il modo di ingannarsi, vincere le resistenze di natura economica, morale, o altro, e finalmente indossare l’oggetto desiderato. Si sentono inadeguati fino all’acquisto del capo. L’acquisto del capo dà invece un senso di onnipotenza. Da differenziare i vanitosi dai “fashion victims“, ovvero le persone che si fanno influenzare dalla spinta consumistica e pubblicitaria all’acquisto dell’ultimo modello assolutamente indispensabile, ma di fatto solamente di moda.

Poi esistono i tossici, termine che qui utilizziamo per porre l’accento su quelle persone che svuotano il gesto dell’acquisto del significato sociale, (vanità, spinta consumistica) ed emotivo (bisogno di compensazione), ma sono letteralmente drogati del brivido che vivono nel momento dell’acquisto, simile a quello che provano i giocatori d’azzardo. In queste persone ritroviamo le caratteristiche di una tradizionale dipendenza: il craving (desiderio impulsivo), l’astinenza, perdita di controllo e tolleranza – dover aumentare la “dose” per avere lo stesso effetto -.

Shopping compulsivo: cosa si compra?

Le principali spese compulsive riguardano:

  • abiti
  • scarpe
  • borse
  • gioielli
  • prodotti di bellezza.

Gli oggetti dell’acquisto hanno alcune specifiche caratteristiche: sono cose di cui non vi è un reale bisogno o, che magari si possiedono già,  che non corrispondono ai propri reali gusti personali o che sono al di fuori delle proprie possibilità economiche. Talvolta gli oggetti acquistati perdono rapidamente di interesse tanto da non essere tolti dalle loro confezioni, da essere restituiti, nascosti o regalati ad altri. Questo è vero soprattutto per le televendite on-line che sono terreno fertile per i profili “tossici” e i “fashion victims”.

Shopping: alcuni consigli

Provando a dare alcuni consigli non tanto e non solo per chi soffre di una condizione già conclamata, ma per chi vuole riportare il proprio modo di fare acquisti su un binario di cui sente di avere il controllo, possiamo suggerire:

  • Non utilizzare carte di credito, soprattutto per quelli che sono soliti trovare scuse per aggirare se stessi.
  • Evitare lo shopping online: questo vale soprattutto per le persone che magari hanno già avuto modo di riconoscere una predisposizione per il gioco patologico. L’online infatti attiva il meccanismo compulsivo e la dipendenza-astinenza dal gesto.
  • Attenzione alle offerte civetta (saldi, sconti, discount, etc.): questo vale soprattutto per chi si sente un po’ “fashion victim”.
  • Stabilire un budget.
  • Prevenire è meglio che curare: imparare a emozionarsi per evitare l’acquisto emotivo.

Quali terapie esistono per lo shopping compulsivo?

Non essendoci chiarezza diagnostica, anche sulle terapie non ci sono moltissimi dati. È importante sottolineare come i singoli casi andrebbero valutati e capiti in modo “sartoriale” e quindi individualizzato.

In base a quali sono gli aspetti che più caratterizzano lo specifico caso (impulsività, compulsività, aspetti sociali-culturali-personologici, tossicofilia), utilizzeremo trattamenti specifici. In generale l’approccio più sensato e quello integrato psicoterapico e farmacologico. Dal punto di vista psicoterapico, i riscontri di maggiore efficacia suggeriscono come prima scelta la Terapia Cognitivo Comportamentale; Dal punto di vista farmacologico l’uso di farmaci ad azione anti-ossessiva e anti-impulsiva possono essere di aiuto per gestire al meglio alcuni aspetti specifici del quadro clinico, come l’impulsività spiccata, la tossicofilia per l’acquisto e la tendenza all’accumulo e favorire l’effetto della psicoterapia

Quindi la terapia farmacologica non va pensata come la panacea ma come un elemento da inserire in un progetto più ampio che deve sempre prevedere un coinvolgimento della famiglia e un supporto psicologico. L’applicazione di tecniche meditative, quali la mindfulness, possono aiutare a migliorare l’autocontrollo e quindi integrarsi con le terapie descritte.

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