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Disabilità e adolescenza: il ruolo dello psicologo

L’adolescenza è una delle fasi più delicate dello sviluppo umano e una condizione di disabilità può contribuire a complicare un periodo della vita già di per sé difficile.

Quali cambiamenti affronta l’adolescente disabile interiormente e nelle relazioni con l’esterno? E i genitori come possono supportare e dare sicurezza al proprio figlio che sta attraversando vissuti dolorosi correlati alla crescita?

Ne parliamo con la dottoressa Laura Beretta, psicologa e psicoterapeuta di Humanitas PsicoCare.

Adolescenza: una fase di passaggio accompagnata dal dolore psichico

Durante l’adolescenza i giovani sono portati a misurarsi con una serie di specifici compiti evolutivi atti allo sviluppo di una propria identità specifica, che sia separata da quella dei propri genitori.

Un processo che porta con sé delle fatiche sul piano emotivo; fatiche che i ragazzi provano ad attenuare cercando nel gruppo dei coetanei il rispecchiamento, l’approvazione e il supporto di cui hanno bisogno per diventare adulti. 

Si contrappongono quindi la necessità di conoscere se stessi e accettarsi in quanto persone portatrici di qualità specifiche e il desiderio di confrontarsi e sentirsi parte di un gruppo. Quando si parla di persone con disabilità, questo aspetto caratterizza in particolar modo la fase dell’adolescenza, accompagnandosi a un dolore psichico in alcuni casi più elevato. La maggiore difficoltà riguarda la presa di consapevolezza del proprio deficit, che va accettato e integrato in una nuova immagine di sé.

In caso di disabilità, infatti, è possibile che la precaria sicurezza di sé e del proprio valore sia ulteriormente indebolita, con la conseguente presenza di dubbi e paure nell’adolescente.

I sentimenti di vergogna, rabbia e bassa autostima che possono derivarne contribuiscono a complicare i rapporti con i coetanei dell’adolescente disabile, che spesso sviluppa atteggiamenti disfunzionali di chiusura e isolamento o, all’opposto, di sfida e oppositività. 

Allo stesso tempo l’adolescente avvertirà maggiormente il bisogno di svincolarsi dalle abitudini assistenziali che, durante l’infanzia, erano state invece fonte di protezione e sicurezza. Con l’aumentare della necessità di autonomia, aumenta anche la capacità di percepire i propri limiti. 

Anche per i genitori questa fase comporta delle difficoltà: potrebbero infatti trovarsi ad affrontare vissuti emotivi di paura e di impotenza. Osservare il proprio figlio mentre affronta nuove conquiste sul piano cognitivo, con gli aspetti positivi e negativi che ciò comporta, può essere complicato e può portare il genitore a sviluppare atteggiamenti di iperprotezione, che limitano l’autonomia del ragazzo o, all’apposto, di negazione, con la conseguente esposizione dell’adolescente a frustrazioni che possono rivelarsi dannose per la sua autostima.

Un quadro a cui si sommano le difficoltà relazionali tipiche dell’adolescenza, che lasciano i genitori disarmati e disorientati davanti a un figlio che faticano a riconoscere nel bambino bisognoso di aiuto e protezione con cui erano abituati a rapportarsi.

È dunque importante essere preparati all’inevitabile confronto con il dolore psichico che accompagna la fase adolescenziale dei ragazzi con disabilità e delle loro famiglie e riuscire a riconoscere il momento in cui diventa necessario un supporto esterno. Rispondendo in modo adeguato ai nuovi bisogni dell’adolescente, questo periodo della vita si configurerà come una fase evolutiva di passaggio, che lascerà spazio a un adulto sereno e consapevole, sia delle proprie risorse, sia dei propri limiti.

Cambiamenti fisici e psichici: la sfida dell’adolescenza

I cambiamenti che avvengono durante l’adolescenza sono travolgenti e riguardano più piani: da quello fisico, a quello emotivo, a quello cognitivo. I giovani si trovano ad affrontare il dolore psichico che deriva dalla separazione dal genitore e da un’immagine di sé ancora legata all’infanzia. 

Quando questo periodo viene affrontato da una persona con disabilità, le difficoltà sono più numerose e, dunque, è necessario fermarsi a riflettere su determinati atteggiamenti, per riuscire ad aiutare l’adolescente in un momento di fragilità. È necessaria la consapevolezza dei propri limiti che, unita alla fiducia nella possibilità di un futuro gratificante, porta a superare il periodo dell’adolescenza senza un eccessivo carico di dolore e a ritrovare, in seguito, la serenità individuale e l’equilibrio nel contesto familiare. 

L’adolescenza è uno stadio dell’evoluzione dell’individuo complicato e delicato, che coinvolge non solo il giovane che lo sta attraversando, ma anche la sua famiglia. È una fase della vita in cui si avvicendano, a volte improvvisamente, molte trasformazioni, che sia sul piano fisico, su quello cognitivo, affettivo o relazionale. Durante la pubertà hanno inizio i cambiamenti più evidenti, ossia quelli corporei: un fenomeno fisiologico che porta allo sviluppo dei caratteri sessuali secondari e determina il passaggio alla condizione psico sessuale di adulto. 

Dal punto di vista cognitivo, si verifica il raggiungimento dello stadio di pensiero definito da Piaget “ipotetico-deduttivo” (Piaget J., Inhelder B., Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, 1955), che consente al giovane di raggiungere una maggiore capacità di astrazione e di meta cognizione, fondamentali per poter riflettere su di sé e comprendere i propri stati mentali.

Per quanto riguarda il piano psichico, invece, l’adolescente si trova a dover affrontare l’angoscia di trovarsi di fronte a un corpo “fuori controllo” e al compito di elaborare i cambiamenti per integrarli in una nuova immagine di sé.

Quelli che l’adolescente deve attraversare sono dei compiti evolutivi atti a creare una propria identità. La risposta a cui l’individuo deve giungere è quella alla domanda “Chi sono io?”, per arrivare alla quale è necessaria l’elaborazione del lutto per la fine dell’infanzia e la separazione dalle figure genitoriali attraverso la messa in discussione di un rapporto infantile fino a quel momenti idealizzato. Si tratta di un passaggio doloroso, che necessita il rinforzo delle relazioni con i propri coetanei, in cui è possibile rispecchiarsi e da cui si trae il supporto necessario per la sperimentazione delle nuove competenze. Sono passaggi fondamentali per l’individuazione dell’adolescente, che si trova a costruire un proprio spazio di vita, un’autonomia di pensiero e un ordine di valori etici e morali che contribuiranno a farlo diventare una persona unica e definita, diversa, ovviamente, dai propri genitori.

Sono trasformazioni individuali, che avvengono nel corpo e nella mente del ragazzo adolescente, ma che, tuttavia, si riflettono anche sulle relazioni familiari. Per i genitori, infatti, è complicato abbandonare il ruolo di cura e protezione che hanno rivestito negli anni precedenti e a riconoscere nell’adolescente quello che è stato il loro bambino. La nuova posizione genitoriale, implica l’accettazione dell’autonomia del figlio e la fiducia nelle sue scelte, continuando comunque a fornire limiti e contenimento affettivo.

Ma cosa succede all’adolescente disabile quando si trova di fronte a questi improvvisi e travolgenti cambiamenti? In che modo la disabilità influisce sulle relazioni intra-familiari tra pari? E quali sono le azioni che i genitori possono intraprendere per aiutare il figlio a superare serenamente questo difficile periodo della vita?

Cosa si intende per disabilità?

Intendiamo come disabilità la condizione di chi, a causa di una o più menomazioni, si trova ad avere una ridotta capacità di interazione con l’ambiente sociale rispetto a quella che viene considerata come norma. L’individuo disabile sarà quindi meno autonomo nello svolgimento delle attività quotidiane e si troverà in una situazione di svantaggio nella partecipazione alla vita sociale.

Abitualmente suddividiamo le disabilità in quattro macro-categorie, in base alle strutture e alle funzioni corporee interessate:

  • disabilità sensoriali: sono quelle che coinvolgono gli organi di senso (vista, udito, tatto, gusto, olfatto)
  • disabilità fisiche o motorie: sono le disabilità che riguardano la motricità e gli organi e le parti del corpo deputate al movimento.
  • disabilità intellettive: sono quelle che interessano le funzioni cognitive e si possono valutare attraverso l’esame del Quoziente Intellettivo della persona.
  • disabilità psichiche: sono le disabilità che riguardano la sfera psicologica e relazionale. 

È possibile inoltre stabilire un continuum tra la disabilità da intendersi come condizione effettiva e la disabilità intesa come percezione di una parte di sé deficitaria o limitante.

Durante l’adolescenza, infatti, determinate caratteristiche che differiscono da quelle attribuite al gruppo di coetanei di riferimento sono percepite dall’individuo che ne è interessato al pari di una disabilità. Dunque l’adolescente non disabile può trovarsi a condividere con l’adolescente disabile i medesimi vissuti di diversità e inadeguatezza a causa di caratteristiche come il peso corporeo, i difetti estetici, le difficoltà di apprendimento. Per questi giovani, dunque, saranno necessarie le stesse attenzioni e modalità di trattamento: le riflessioni che andremo a proporre in questo articolo possono quindi valere, con i dovuti accorgimenti, anche per gli adolescenti che percepiscono se stessi in un punto intermedio del continuum tra patologia e fisiologia.

L’adolescente disabile

Quando abbiamo a che fare con la disabilità non dobbiamo dimenticare che l’adolescente disabile è prima di tutto un adolescente e che, quindi, sta attraversando i cambiamenti propri a questa fase evolutiva: un percorso di individuazione e di separazione dai genitori che è prima di tutto personale. 

Quando parliamo di disabilità sensoriale e motoria, le trasformazioni dal punto di vista fisico e il confronto con il gruppo di coetanei fisiologico a questa età metteranno il giovane di fronte alle proprie diversità dal punto di vista fisico. Un aspetto che può rendere più ostico il già lungo percorso di accettazione del proprio corpo e la creazione di un’immagine individuale di cui la disabilità sia parte integrante. L’adolescente con disabilità si troverà a dover sostenere lo sguardo altrui che, in una fase delicata come questa, è spesso molto attento all’aspetto estetico, che viene ritenuto parte integrante della possibilità di entrare a fare parte di un gruppo e diventa un parametro di valore.

La nostra società, particolarmente focalizzata sulla visibilità, sull’edonismo e sul culto della performance, può rappresentare un ostacolo per un adolescente con disabilità, che può avvertire maggiormente la difficoltà e sentirsi inferiore al gruppo di cui vorrebbe fare pare. 

Gli adolescenti che invece presentano un deficit intellettivo o psichico, avranno una maggiore difficoltà a relazionarsi con le pulsioni sessuali della pubertà. Potrebbero infatti fare fatica ad attribuire un significato agli impulsi sessuali quando questi si verificano e a regolarli, così come faranno più fatica a elaborare il lutto per la fine dell’infanzia e a separarsi dalla percezione di sé come dipendenti dai propri genitori. Gli adolescenti con questo tipo di disabilità, infatti, potrebbero trovarsi ad affrontare vissuti depressivi e reagire isolandosi e trascurando la propria persona. 

Un altro problema della fase adolescenziale è l’autostima insufficiente, che porta l’adolescente che la sperimenta a forti vissuti di vergogna, che si scontrano con la necessità di socializzare, entrare in connessione intima con i propri coetanei e inserirsi in un gruppo. La conseguenza può essere un atteggiamento di passività, di rinuncia e di isolamento dal contesto sociale per evitare il confronto, a cui non ci si sente preparati, e per sottrarsi agli sguardi del prossimo, oppure un atteggiamento di negazione della realtà. La negazione della realtà comporta la mancata accettazione dei limiti che la disabilità impone e un conseguente atteggiamento di sfida continua nei confronti dell’ambiente circostante. 

L’adolescente disabile, trovandosi in un momento di sviluppo del pensiero e delle funzioni cognitive, diventa totalmente consapevole della propria disabilità e si trova a dover elaborare aspetti della sua vita che in passato poteva aver in parte negato, questo a prescindere dal grado e dalla tipologia della disabilità spessa. Per questo nel ragazzo disabile può associarsi all’adolescenza anche una fase di rabbia, che nasce dal confronto con i propri coetanei e dall’assenza di una risposta valida alla domanda: “Perché proprio a me?”.

L’impatto della disabilità sulla famiglia

Quando si parla di disabilità ci si riferisce a una condizione che si riflette anche sulla vita di tutte le persone che vivono attorno alla persona che ne è interessata. Per i genitori la scoperta della disabilità di un figlio costituisce un trauma, che può portare alla negazione o alla minimizzazione della disabilità quando il figlio è ancora nella prima infanzia, mentre, con l’adolescenza è inevitabile confrontarsi con il dolore che provoca. Questo potrebbe causare l’insorgenza di stati depressivi nei genitori, che in reazione allontaneranno il figlio o lo disinvestiranno emotivamente.

Percependo inoltre il figlio come più fragile e l’ambiente che lo circonda come ostile, il genitore può diventare iperprotettivo, con comportamenti assistenziali e infantilizzanti, che limitano gli atteggiamenti dell’adolescente finalizzati all’autonomia. Un comportamento che indica la difficoltà del genitore a lasciare andare la rappresentazione infantile e vulnerabile del figlio in favore di un soggetto non più completamente indipendente da loro, ma con nuove necessità e una personalità individuale. 

Può anche persistere una negazione, totale o parziale, della patologia, che porterà il genitore a rapportarsi al figlio come se non fosse portatore di disabilità: un’attitudine che ostacola il processo dell’adolescente di elaborazione e accettazione della disabilità poiché provoca aspettative e richieste irrealistiche che il figlio non può assecondare e, nel tentativo di farlo, verrà dunque esposto a esperienze frustranti.

Sia in caso di iperprotezione, sia in caso di negazione della disabilità, lo stato emotivo che provoca questi atteggiamenti è la paura. I genitori, infatti, si devono confrontare con ansia, impotenza, colpa, fallimento, e rabbia, per cui gli risulta impossibile poter sempre fornire al figlio disabile la base sicura necessaria alla crescita. 

L’adolescente con disabilità, per quanto i suoi processi evolutivi siano analoghi a quelli dei suoi coetanei, durante il percorso verso l’età adulta deve far fronte a una quota di dolore psichico più elevata. Al lutto per la condizione di disabilità, che è stato in parte elaborato negli anni precedenti, si aggiunge un secondo lutto, quello per il proprio futuro, in cui la disabilità sarà sempre presente, sia nelle relazioni con i coetanei, sia in ambito sentimentale e nell’ottica di una futura costruzione di una propria famiglia. 

Il supporto dello psicologo all’adolescente disabile

L’adolescente disabile si trova di fronte al bisogno di integrare la propria disabilità in una nuova immagine di sé, a cui si oppone la necessità di essere accettato dai coetanei. Questo stato stato può essere molto pesante da elaborare e può sfociare in un blocco nel percorso di risoluzione dei compiti evolutivi, la cui conseguenza è il ritorno a comportamenti associati all’infanzia e il tentativo di sfuggire dalle situazioni che espongono il giovane alle sue fragilità. È in momenti simili che deve subentrare il professionista psicologo che, con il suo aiuto, contribuirà alla ripresa del fisiologico cammino evolutivo dell’adolescente. 

Il ruolo dello psicologo è quello di seguire il paziente adolescente in un difficile e fondamentale percorso di cambiamento interiore, che comprende la faticosa presa di coscienza realistica della propria disabilità e delle reazioni esterne che questa sollecita, nonché della possibilità di instaurare con i coetanei un rapporto basato sulla cooperazione e non sull’agonismo, per cui è necessario liberarsi da atteggiamenti di vergogna, di rinuncia e di sfida. 

Un altro aspetto che l’adolescente con disabilità si troverà a fronteggiare sono i cambiamenti fisici e la comparsa di caratteri e pulsioni sessuali, che vanno inseriti in un’immagine di sé adulta e valorizzante e elaborati a livello psichico.

Durante la psicoterapia verrà affrontata la dimensione della vergogna e del segreto, con cui l’adolescente deve imparare a confrontarsi per poter raggiungere una qualità della vita più soddisfacente. 

Inoltre lo psicologo supporterà anche il paziente adolescente nella valorizzazione delle nuove abilità e competenze acquisite in questa fase della vita e nella valutazione del livello di autonomia che può effettivamente raggiungere al fine di essere autonomamente in grado di effettuare scelte di vita gratificanti. Si tratta di un processo di riflessione intra-psichica atto a canalizzare in attività costruttive e creative il vissuto di ingiustizia e di rabbia che in molti casi accompagna la fase adolescenziale del giovane con disabilità.

Il supporto dello psicologo alla famiglia

Non è però solo l’adolescente disabile a necessitare un supporto psicologico, che può infatti essere richiesto anche dai suoi genitori i caso riscontrino delle difficoltà nel confronto con i propri vissuti emotivi legati alla disabilità del figlio e abbiano bisogno di ripensare al loro ruolo genitoriale alla luce della nuova fase evolutiva raggiunta dal ragazzo, che necessita un grado maggiore di autonomia. 

Si tratta di un processo che può essere complesso, in particolar modo in caso di genitori impreparati ad affrontare sentimenti di paura e depressione o di un figlio che presenta un atteggiamento oppositivo, ostile e che tende a isolarsi. 

Una situazione che può portare i genitori a sentirsi disarmati per far fronte adeguatamente ai cambiamenti che l’adolescenza di un figlio comporta non solo per lui ma anche per le relazioni intra-familiari.

Lo psicologo, con il suo supporto, aiuterà il genitore a confrontarsi con la propria funzione genitoriale, riappropriandosene con un maggior equilibrio nei suoi aspetti emotivi, assistenziali, normativi ed educativi, e a ristabilire un rapporto con il proprio figlio in modo sereno, informato e realistico. Il supporto psicologico diventa ancora più importante quando il genitore manifesta stati depressivi o ansiosi che determinano un allontanamento dal proprio ruolo di guida e contenimento affettivo e un sentimento di impotenza.

Grazie al supporto psicologico, i padri e le madri degli adolescenti con disabilità, riusciranno a ristabilire una condizione di benessere psichico e ad accettare e rielaborare in maniera definitiva il lutto per la perdita del bambino immaginato. 

I genitori sono infatti i primi a dover manifestare fiducia per la possibilità che il figlio disabile possa avere nonostante tutto una vita soddisfacente e felice: in questo modo l’adolescente sarà fortificato ed equipaggiato positivamente per confrontarsi con il dolore che comporta sia la consapevolezza della propria condizione sia la fase di crescita.

Consigli per i genitori di bambini e adolescenti disabili

È importante che un genitore fornisca al proprio figlio disabile supporto in determinati aspetti, quali:

  • Sostenerlo nel percorso di conoscenza e accettazione della disabilità, fin da quando è piccolo, senza negare l’esistenza di difficoltà e senza imbarazzarsi in caso vengano poste domande.
  • Aiutarlo a riconoscere e valorizzare le competenze e risorse che gli sono proprie, mostrandosi fiduciosi delle possibilità di un futuro ricco e gratificante.
  • Fornire un supporto sia quando si tratta di coltivare le proprie passioni, sia quando si tratta di partecipare a esperienze di socializzazione di diversa natura, in modo tale che il figlio disabile acquisti sicurezza di sé e instauri relazioni equilibrate con i propri coetanei.
  • Confrontarsi realisticamente con la disabilità e con le aspettative che determina, senza negare la patologia. In caso contrario, infatti, il figlio disabile potrebbe sperimentare eccessive frustrazioni che possono avere influenza negativa sull’autostima.
  • Individuare situazioni in cui il figlio può muoversi in autonomia, supportandolo e dandogli fiducia circa le possibilità di riuscita.
  • Combattere la paura e la tendenza a proteggere sempre il proprio figlio, anche quando non è necessario.
  • Frenare l’impulso ad aiutare in ogni occasione il figlio, interrogandosi sull’effettiva necessità di questo aiuto o se il ragazzo ha le competenze adeguate per proseguire autonomamente nella sua attività.
  • Considerare i propri stati d’animo e prendersene cura.
  • Accogliere e validare i vissuti del proprio figlio, mantenendo la propria figura genitoriale di base sicura e punto di riferimento per il confronto emotivo.
  • Affrontare i momenti di crisi senza negarli o sminuirli, valutando se sia opportuno rivolgersi a uno specialista.

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