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Impianto di dispositivo antibradicardico (pacemaker)


Il pacemaker è un dispositivo in grado di generare degli impulsi elettrici, che stimolano la contrazione di una o più camere del cuore (atri e/o ventricoli) in caso di disturbi della genesi o della conduzione dell’impulso elettrico per far sì che il cuore possa svolgere correttamente il suo ruolo di pompa.

Che cos’è l’impianto di dispositivo antibradicardico (pacemaker)?

Il cuore è muscolo dotato di un complesso sistema elettrico che produce e conduce gli stimoli necessari a contrarre le sue camere nella sequenza appropriata per pompare il sangue in tutto il corpo.

Quando il cuore funziona correttamente, in condizioni di riposo le camere cardiache si contraggono a una frequenza intorno ai 60 – 80 battiti al minuto, accelerando se si necessita di un ulteriore apporto di sangue (come ad esempio in occasione di sforzi o attività fisica).

L’impianto elettrico del cuore può avere dei problemi sia nella genesi dell’impulso elettrico (bradicardia patologica) che nella conduzione dello stesso attraverso le camere cardiache (es. blocco atrioventricolare). In entrambe le situazioni si possono verificare delle pause del battito cardiaco che, se troppo prolungate, possono dare adito a sintomi come capogiri o, nei casi più gravi, perdite di coscienza.

Il pacemaker inoltre permette di aumentare la frequenza del battito cardiaco in base al fabbisogno del paziente (in corso per esempio di attività fisica) basandosi su dei segnali derivanti da un sensore di respirazione e un sensore di movimento.

Il sistema completo è composto da un generatore di impulsi (il pacemaker) e da uno o più fili elettrici (gli elettrocateteri). Il pacemaker è simile ad una piccola scatola che contiene la batteria e i circuiti che permettono di monitorare l’attività elettrica spontanea del cuore (se presente) ed erogare l’impulso elettrico se necessario.

Vi sono diversi tipi di pacemaker, scelti in base alla patologia di cui è affetto il paziente e con l’obiettivo di ripristinare un ritmo il più simile possibile a quello fisiologico

Per esempio, se il paziente e affetto da fibrillazione atriale permanente sarà sufficiente un pacemaker monocamerale (con un unico filo in ventricolo destro); in caso di bradicardia sinusale o blocco atrioventricolare si posiziona invece un pacemaker bicamerale, collegato cioè a due elettrocateteri (atriale destro e ventricolare destro). 

Come avviene l’impianto del pacemaker?

L’intervento viene eseguito in anestesia locale e con guida radiologica. Preliminarmente viene somministrata profilassi antibiotica di copertura.

L’incisione della cute avviene nella zona del torace sotto la clavicola (preferenzialmente dal lato di sinistra) e attraverso una via venosa (vena cefalica se presente, vena succlavia) gli elettrocateteri vengono fatti avanzare all’interno delle camere del cuore con l’ausilio dei raggi X. Una volta posizionati, vengono eseguite una serie di misure elettriche per verificarne la corretta posizione e il corretto funzionamento.

I cateteri si fissano in modo passivo (mediante dei piccoli rostri sulla punta che si incastrano nel muscolo cardiaco) o attivo (mediante una vite che si avvita nella parete cardiaca). A questo punto gli elettrocateteri vengono collegati al pacemaker, che viene inserito sotto la pelle nella zona definita tasca. 

Quanto dura l’intervento?

La durata della procedura, in assenza di complicanze, è di un’ora circa. 

È doloroso o pericoloso?

L’intervento viene eseguito in anestesia locale e pertanto il paziente non avverte dolore durante la procedura.

Le possibili complicanze legate all’impianto, tutte molto rare, possono verificarsi a diversi livelli nell’immediato post operatorio o nel lungo periodo.

Complicanze a breve termine

  • Formazione di ematoma della tasca successivamente alla procedura, soprattutto nei pazienti in terapia anticoagulante con necessità di pronta ripresa della post impianto. Tale evenienza viene trattata conservativamente con ghiaccio ed eventuale terapia antibiotica nella quasi totalità dei casi, molto raramente si richiede una revisione chirurgica della tasca.
  • Pneumotorace (ingresso di aria nella cavità pleurica) nei pazienti sottoposti a impianto mediante accesso venoso succlavio. In caso di pneumotorace di piccole dimensioni il trattamento è conservativo, in caso contrario è necessario posizionare un drenaggio toracico (un piccolo tubicino attraverso la pelle dell’emitorace sinistro) al fine di fare uscire l’aria entrata (tale procedura viene eseguita dal chirurgo toracico al letto del malato). Tale drenaggio viene mantenuto in sede mediamente 48 ore fino a totale chiusura della breccia.
  • Perforazione cardiaca in corso di posizionamento degli elettrocateteri: durante le manovre di posizionamento, soprattutto in corso di avvitamento, se le pareti cardiache risultano essere molto sottili si può verificare una perforazione acuta. Essendo la breccia molto piccola, spesso la situazione si risolve spontaneamente senza reliquati o con la comparsa di modesto versamento pericardico a risoluzione autonoma nei giorni a seguire. Nei casi più gravi, invece, può rendersi necessario un drenaggio pericardico (tubicino posizionato al di sotto dello sterno) per far fuoriuscire il materiale ematico o addirittura un intervento cardiochirurgico (evenienza molto remota).
  • Sposizionamento degli elettrocateteri: nei primi 30 giorni circa post impianto, con rischio decrescente, si può verificare uno sposizionamento dei cateteri posizionati con conseguente malfunzionamento. Tale evenienza può risultare sintomatica o meno in base alla necessità di stimolazione. In tali situazioni bisogna procedere a reintervento per riposizionare gli elettrodi.

Complicanze a lungo termine

  • Frattura degli elettrocateteri: i cavi, nel lungo periodo (soprattutto se sollecitati da frequenti movimenti dell’arto superiore omolaterale rispetto all’impianto) possono andare incontro a usura precoce con conseguente frattura. Tale malfunzionamento può essere sintomatico in caso di dipendenza dal pacemaker (malessere, svenimento) o può decorrere inosservato ed essere riscontrato solo in occasione dei controlli ambulatoriali. In tale situazione, a seconda dei casi va considerata l’estrazione del vecchio elettrocatetere o, se troppo rischiosa, l’abbandono dello stesso con impianto di uno nuovo.
  • Infezioni: elettrocateteri e pacemaker, come tutti i dispositivi impiantabili e le protesi, rappresentano un terreno “gradito” ai batteri. In caso di infezioni dell’organismo, soprattutto se gravi e con disseminazione sanguigna, i batteri possono aderire ai cateteri andando a formare le cosiddette “vegetazioni endocarditiche” che, se non trattate, possono arrivare a interessare anche le valvole cardiache portando a una loro usura precoce. Tale situazione, identificata come endocardite, si manifesta con febbre ricorrente scarsamente responsiva a terapia antipiretica. In caso di diagnosi di endocardite, al di là della terapia antibiotica mirata è comunque necessario procedere a estrazione del sistema, procrastinando il più possibile (per quanto la situazione clinica lo conceda) il reimpianto attendendo così la completa guarigione della patologa infettiva.

Follow up

Dopo l’intervento è richiesto l’allettamento fino al mattino successivo. Si raccomanda al paziente di limitare i movimenti del braccio del lato di impianto per minimizzare i rischi di spostamento degli elettrocateteri appena posizionati.

Una radiografia del torace documenta la posizione finale dei cateteri. 

In assenza di problematiche, il paziente può essere dimesso in prima giornata.

Dopo la guarigione della ferita la maggior parte delle persone noterà solo una piccola cicatrice e un piccolo rigonfiamento sotto la clavicola (sinistra o destra a seconda della sede di impianto).

Al momento della dimissione viene consegnata una tessera di portatore di pacemaker in cui sono contenuti i dati del medico, il tipo di pacemaker e di cateteri che sono stati impiantati da portare sempre con sé.

Dopo l’intervento, fatta eccezione per i primi giorni (per i quali si raccomanda di limitare i movimenti del braccio del lato dell’impianto), il paziente può riprendere normale attività fisica e l’assunzione di qualunque posizione del corpo. È comunque consigliabile eseguire con moderazione eventuali attività fisiche che richiedano un utilizzo intensivo del braccio del lato di impianto.

Eventuali alterazioni della tasca del dispositivo (dolore, arrossamento, perdite di liquido, erosione) dovranno sempre essere tempestivamente segnalate. Particolare attenzione va anche prestata alla presenza di campi elettromagnetici (andrà sempre fatto presente di essere portatori di dispositivo in caso di accesso in banca, passaggio attraverso metal detector o esecuzione di risonanza magnetica).

La durata media del dispositivo, in presenza di costante stimolazione e parametri elettrici ottimali, è di circa 8-10 anni.

Il medico del Centro di Stimolazione dove si è eseguito l’impianto stabilirà il calendario e le modalità dei controlli successivi, atti a verificare il corretto funzionamento del sistema, il consumo progressivo della batteria e l’eventuale presenza di aritmie cardiache (tutti i pacemaker hanno anche una funzione di registrazione, analogamente a un Holter ECG; tale funzione permette di prendere di volta in volta gli adeguati provvedimenti, sia dal punto di vista farmacologico che interventistico).

Oggi è possibile consegnare al paziente il cosiddetto sistema di monitoraggio domiciliare, cioè un’apparecchiatura (fornita gratuitamente) che permette il controllo a distanza dei dati del pacemaker. Il medico può così controllare il funzionamento del pacemaker attraverso un sito Internet dedicato. Tale tipologia di controllo, ovviamente, è a integrazione e non sostituzione della valutazione medica specialistica.

Quando il livello di carica della batteria raggiunge il livello minimo accettabile, si procede alla sostituzione del pacemaker: i fili, se ben funzionanti, vengono mantenuti e si esegue pertanto solo il cambio del generatore.

Tecnologie

Stimolazione del sistema di conduzione (fascio di His, branca sinistra)

Recentemente si è sviluppata la tecnologia della cosiddetta stimolazione del sistema di conduzione cardiaco (pacing hisiano e pacing della branca sinistra).

La stimolazione del fascio di His (in alternativa alla tradizionale stimolazione dall’apice del ventricolo destro) sfruttando le naturali vie di eccitazione del cuore permette una contrazione del cuore più fisiologica. Tale tecnica sta vivendo una fase di grande sviluppo tecnologico.

La procedura è simile all’impianto del pacemaker tradizionale ma prevede l’utilizzo di uno strumento orientabile e un apposito sistema di manipolazione che consente di posizionare gli elettrodi del pacemaker con la massima precisione. La procedura è tecnicamente più complicata dell’impianto tradizionale ma i risultati a ora ottenuti sono assolutamente promettenti, e stanno aprendo la strada a quella che ragionevolmente diventerà, negli anni a venire, la tecnica standard di impianto di pacemaker.

Pacemaker leadless

Per evitare le complicanze e i problemi connessi alla presenza di elettrocateteri, tasche e connettori richiesti dai pacemaker convenzionali, è stato recentemente sviluppato un sistema innovativo di stimolazione cardiaca. Lo scopo è aumentare l’accettazione del pacemaker da parte del paziente: nessuna cicatrice, nessuna tumefazione o elemento esterno visibile. Inoltre si ottiene la minimizzazione delle limitazioni ai movimenti nel post impianto con l’importanza per la rapida ripresa delle attività lavorative del paziente. La procedura è minimamente invasiva. Questo concetto migliora il comfort del paziente sostituendo una procedura chirurgica con una procedura percutanea.

Il sistema leadless (senza fili) consiste in un pacemaker dalle dimensioni estremamente ridotte (come quelle del tappo di una penna a sfera) e dei suoi accessori: un programmatore, un introduttore, un catetere di posizionamento. 

L’intervento avviene in anestesia locale, e solo in qualche caso può essere necessaria una blanda sedazione.

Il pacemaker leadless viene posizionato grazie a un sistema di trasporto costituito da un tubicino flessibile inserito attraverso un introduttore tubulare posizionato nella vena femorale, a livello dell’inguine, preferibilmente da destra (in rari casi è possibile dover ricorrere al lato sinistro se inaccessibile il destro).

Dopo aver progressivamente dilatato la vena con un sistema di tubicini a diametro crescente, il dispositivo viene fatto avanzare attraverso la vena fino al cuore.
Per valutare la corretta posizione del dispositivo nel cuore a livello del ventricolo destro, sarà quindi necessaria la somministrazione di piccole quantità di mezzo di contrasto iodato.

Dopo che il sistema leadless sarà impiantato, la presenza di corretti parametri di stimolazione verrà controllata con un programmatore ed eventualmente verrà modificata la programmazione. L’uso del pacemaker leadless non richiede la somministrazione di alcun farmaco aggiuntivo o dosi aumentate di farmaci durante l’operazione o in qualunque altro momento a seguire.

Alla fine della procedura, il pacemaker leadless sarà permanentemente impiantato nel cuore. Il catetere di posizionamento verrà rimosso e nessun’altra parte del sistema rimarrà nel corpo. Verrà quindi chiusa l’incisione nell’inguine con una compressione manuale o con l’applicazione di un punto di sutura.

Sarà necessario restare allettati per 24 ore circa. La dimissione è prevista dopo 48 ore circa.

Il pacemaker leadless possiede tuttavia anche delle limitazioni. È infatti attualmente utilizzabile solo nei pazienti che presentano necessità della sola stimolazione ventricolare destra (meglio se al bisogno).

Le complicanze legate alla procedura, molto rare, sono legate a una possibile perforazione delle cavità cardiache con tamponamento cardiaco (complicazione rara <1%, comparabile in termini percentuali alla tecnica “tradizionale”), all’inserzione del sistema nella vena femorale (con conseguente ematoma e danni vascolari che possono richiedere raramente l’intervento chirurgico) e all’embolizzazione del sistema (evenienza rarissima con necessità di recupero attraverso strumenti introdotti per via percutanea o possibile necessità di esecuzione di un intervento cardiochirurgico).

Unità Operative