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Torzilli: fegato senza segreti in sala operatoria

La fattibilità dell’ecografia intraoperatoria con mezzo di contrasto in chirurgia epatica è stata dimostrata, per la prima volta all’interno della comunità scientifica mondiale, da uno studio condotto dal dott. Guido Torzilli, ricercatore dell’Università di Milano e capo sezione dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale III di Humanitas diretta dal prof. Marco Montorsi. I risultati dello studio, nei vari aspetti che lo caratterizzano, sono stati pubblicati su tre prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore – Liver Transplantation, British Journal of Surgery e European Journal of Radiology – e costituiscono un notevole progresso nel trattamento chirurgico dei tumori al fegato.

Dottor Torzilli, qual è l’utilità dell’ecografia intraoperatoria nel caso della chirurgia epatica?
“Nella chirurgia epatica l’ecografia intraoperatoria ha tre ruoli fondamentali: diagnosi, stadiazione della malattia e guida alla resezione.
Nel caso dei tumori del fegato, siano essi primitivi o secondari (metastasi), l’ecografia intraoperatoria permette di identificare noduli epatici di pochi millimetri con un’accuratezza ancora non raggiungibile da nessun’altra delle metodiche per immagini eseguibili prima dell’intervento, neppure dalla Risonanza Magnetica di ultima generazione. Inoltre, la sua importanza è legata al fatto che, in fase operatoria, permette di guidare la mano del chirurgo nella completa rimozione dei noduli.
Tuttavia, la metodica tradizionale ancora oggi non garantisce la visualizzazione di tutti i noduli in un fegato sede di metastasi e, nel fegato cirrotico, non consente di differenziare con sufficiente accuratezza, tra i nuovi noduli, quelli maligni da quelli benigni”.

Questo che cosa comporta?
“In sostanza, questo limite dell’ecografia intraoperatoria tradizionale si traduce in interventi chirurgici incompleti dal punto di vista oncologico”.

Da qui l’idea di condurre uno studio di fattibilità dell’ecografia intraoperatoria con mezzo di contrasto (CE-IOUS)?
“Esatto. Impiegando un nuovo mezzo di contrasto ecografico di seconda generazione ed apparecchi ecografici tecnologicamente in grado di permettere l’esecuzione dell’esame a livello intraoperatorio, abbiamo dimostrato che è possibile modificare il 39% delle procedure chirurgiche, permettendo da una parte di indentificare noduli altrimenti non rilevabili con l’ecografia intraoperatoria tradizionale, dall’altra parte di differenziare, tra i noduli visibili, quelli maligni. Questo permette l’esecuzione di interventi più radicali e, dunque, più efficaci”.

E come funziona?
“Nel caso di pazienti con epatocarcinoma – il più frequente tumore primitivo epatico che quasi sempre si sviluppa nel fegato cirrotico – l’ecografia intraoperatoria tradizionale permette di visualizzare molti noduli non identificabili preoperatoriamente. In questi casi il problema è saper riconoscere quelli maligni: generalmente, queste lesioni sono caratterizzate da un più o meno spiccato grado di neovascolarizzazione di tipo arterioso. L’ecografia con contrasto permette di darci informazioni in tal senso. Pertanto, ci permette di procedere ad interventi più radicali dal punto di vista oncologico.
In caso invece dei tumori secondari del fegato, ossia nelle metastasi, l’ecografia con contrasto ci permette di stadiare meglio la malattia aumentando la visibilità dei noduli rispetto al fegato circostante. Infatti, soprattutto dopo chemioterapia, i noduli metastatici, specie se molto piccoli, sono difficilmente visualizzabili anche con l’ecografia tradizionale intraoperatoria, perché risultano molto poco distinguibili dal tessuto circostante. Il contrasto permette di ‘accendere’ il fegato, ed i noduli divengono come ‘buchi neri’. L’ecografia in questo caso ha anche un’importante funzione di guida alla resezione, perché ci permette di individuare con estrema chiarezza i margini dei noduli da asportare, che altrimenti risultano poco chiari: questo evita di sezionare troppo fegato vicino al tumore o addirittura di lasciare piccole parti di tumore nel paziente. Anche in questo caso, dunque, l’ecografia intraoperatoria con contrasto aumenta la radicalità dei nostri interventi”.

Di Monica Florianello

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