Negli ultimi anni, l’oncologia ha compiuto passi da gigante non solo nella cura dei tumori, ma anche nella loro prevenzione e diagnosi precoce. In questo contesto si inserisce la strategia innovativa della cancer interception, che mira a bloccare l’evoluzione delle lesioni precancerose prima che si trasformino in tumori. Non si tratta solo di individuare precocemente la malattia, ma di intervenire attivamente alla radice, modificando il corso del processo patologico attraverso terapie mirate.
È proprio in questa direzione che colloca lo studio APHRODITE, un nuovo progetto clinico supportato dal Clinical Innovator Award del prestigioso Cancer Research Institute di New York e coordinato dall’IRCCS Istituto Clinico Humanitas. Lo studio partirà in autunno in cinque centri italiani. Con un obiettivo ambizioso — intercettare la trasformazione tumorale prima che si sviluppi il cancro — il progetto, recentemente approvato da AIFA e sostenuto anche dalla Fondazione AIRC, che ha finanziato le ricerche alla base dello studio, testerà per la prima volta un approccio di immunoterapia locale in pazienti con lesioni orali potenzialmente maligne. Al centro dello studio c’è un farmaco che attiva il recettore CD40 e stimola una risposta immunitaria mirata.
A guidare il progetto sono Paolo Bossi, oncologo responsabile della Sezione Tumori Testa-Collo di Humanitas e docente di Humanitas University, e Enrico Lugli, direttore del Laboratorio di Immunologia Traslazionale. La loro collaborazione rappresenta un esempio concreto di ricerca traslazionale, in cui il dialogo tra clinica e laboratorio permette di tradurre le scoperte scientifiche in strumenti terapeutici innovativi. Al loro fianco, come co-investigatori, contribuiscono importanti professionisti di Humanitas come Luigi Lorini, Giuseppe Mercante, Alberto Paderno e Maria Rescigno, esperti nei rispettivi ambiti clinici e di ricerca, che arricchiscono ulteriormente la multidisciplinarietà del progetto.
Il cancro del cavo orale: una minaccia spesso annunciata
Il cancro del cavo orale è ancora oggi una patologia difficile da trattare, con tassi di sopravvivenza a cinque anni che, nei casi più avanzati, non superano il 50-60%. Tuttavia, la malattia può essere anticipata da segnali premonitori: le cosiddette lesioni orali potenzialmente maligne (OPMD) possono precedere lo sviluppo del tumore anche di diversi anni. Sebbene non siano ancora cancerose, queste lesioni hanno una probabilità significativa di evolvere in forma maligna, con oltre il 50% dei casi di trasformazione. Anche in caso di intervento chirurgico di rimozione, la possibilità di progressione verso una neoplasia maligna non può essere esclusa.
Lo studio APHRODITE si rivolge proprio a questi pazienti a rischio, in una fase in cui l’intervento può essere di natura preventiva. I soggetti coinvolti riceveranno un trattamento localizzato, che prevede l’iniezione diretta del farmaco nella lesione stessa. Inoltre, verranno sottoposti a tecniche avanzate di screening immunologico e molecolare, condotte dal team di Enrico Lugli per identificare i meccanismi alla base della risposta immunitaria anti-tumorale. Sebbene la stimolazione del CD40 sia già stata testata in sperimentazioni cliniche di immunoterapia, questa è la prima volta che viene utilizzata in un contesto preventivo, con l’obiettivo di bloccare precocemente la trasformazione maligna. Il cavo orale è stato scelto non solo perché le lesioni precancerose sono facilmente visibili e accessibili, ma anche perché evidenze precliniche hanno dimostrato un ruolo dell’attivazione del recettore CD40 nello stimolare la risposta immunitaria durante le fasi iniziali della malattia.
Come spiega Paolo Bossi, l’obiettivo è «attivare una risposta immunitaria direttamente nel tessuto a rischio, prima che il tumore diventi clinicamente evidente. Vogliamo intervenire in modo precoce, sfruttando la capacità del sistema immunitario di riconoscere e distruggere le cellule anomale prima che si trasformino in tumore. È un approccio innovativo, che potrebbe rivoluzionare il modo in cui affrontiamo queste lesioni, offrendo ai pazienti un’opzione meno invasiva e più mirata rispetto alla chirurgia».
Lo studio, di fase II e di natura esplorativa, coinvolgerà circa 27 pazienti: un numero contenuto ma sufficiente per raccogliere dati utili a guidare ricerche future più ampie. Humanitas, in qualità di centro coordinatore, sarà affiancato da altri importanti centri italiani, tra cui ASST Santi Paolo e Carlo, l’Istituto Europeo di Oncologia, ASST Sette Laghi, ASST Lariana, l’Università Federico II di Napoli e l’Università di Bologna.
Ricerca traslazionale: dove laboratorio e clinica si incontrano
Un aspetto distintivo del progetto è l’integrazione tra sperimentazione clinica e deep profiling: ogni paziente verrà studiato in dettaglio attraverso tecnologie avanzate disponibili in Humanitas, come sottolinea Enrico Lugli. «Il nostro obiettivo non è solo valutare l’efficacia del farmaco, ma soprattutto capire in profondità come agisce e in quali pazienti può offrire il massimo beneficio. Grazie a tecnologie come la proteomica, la metabolomica e la citometria ad alta dimensionalità, possiamo analizzare dettagliatamente la risposta del sistema immunitario, identificare biomarcatori predittivi e personalizzare sempre più la terapia. Questa è l’essenza della medicina di precisione e il valore fondamentale della ricerca traslazionale: trasformare le scoperte scientifiche in strumenti concreti per migliorare la vita dei pazienti».
In definitiva, APHRODITE è molto più di una sperimentazione clinica. È il risultato di un lavoro condiviso tra clinici e scienziati, ed è un esempio concreto di come la ricerca traslazionale possa trasformare intuizioni scientifiche in opportunità terapeutiche reali. Dalla comprensione dei meccanismi biologici alla loro applicazione diretta sul paziente, questo studio dimostra quanto sia cruciale il dialogo continuo tra laboratorio e clinica. È proprio su questa integrazione che si costruisce il futuro della medicina di precisione, capace non solo di curare, ma anche – e soprattutto – di prevenire.
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