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Capire le malattie autoimmuni: per trovare nuove cure

 

Il progetto di ricerca

Le malattie autoimmuni si basano sulla degenerazione del sistema immunitario e sono il paradigma della medicina di genere. Cioè presentano caratteristiche profondamente diverse tra i due sessi.
In particolare malattie come l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico o la sclerosi sistemica colpiscono principalmente le donne.
Di qui l’importanza di sostenere gli studi in questo settore, in cui Humanitas è in prima linea per comprendere sempre meglio come le malattie possano variare in base alle differenze biologiche o all’influenza dei fattori ambientali e psico-sociali sull’individuo.

Con i gemelli ad esempio la natura ci fornisce uno straordinario modello di studio per capire, qual è rispettivamente il peso della componente ereditaria e di quella acquisita.
Infatti uno dei progetti di ricerca attivi in Humanitas nel Laboratorio di Immunologia Clinica e Autoimmunità si pone l’obiettivo di identificare coppie di gemelli in cui uno solo abbia una specifica malattia autoimmune, per studiare in modo accurato le differenze non genetiche, ovvero ambientali, che conducono alla malattia stessa.

 

Come procedono i lavori

Il Laboratorio di Autoimmunità e Metabolismo è di recente formazione, per cui nei primi mesi di lavoro insieme ci siamo concentrati sulla raccolta dei campioni e sulle metodiche per testarli.
Le malattie autoimmuni colpiscono prevalentemente le donne, ma più raramente si manifestano anche in pazienti di sesso maschile con manifestazioni cliniche più gravi.

È importante dunque raccogliere campioni biologici (siero, plasma, cellule di pazienti di ambo i sessi) per studiare le motivazioni che determinano una netta prevalenza della malattia in un sesso anziché nell’altro.
Un altro ambito che stiamo approfondendo è quello relativo alle patologie autoimmuni nei gemelli: si è osservato che talvolta solo uno dei due gemelli omozigoti, che quindi hanno lo stesso patrimonio genetico, è affetto da una malattia autoimmune.
Questo ci fa supporre che non siano dunque solo i geni responsabili della malattia, ma che probabilmente avvengono mutazioni epigenetiche indotte dall’esposizione a fattori biologici, chimici o fisici per indurre l’insorgenza della malattia.
Questo tipo di ricerca è molto interessante e importante ma richiede il difficile e laborioso reclutamento di gemelli omozigoti affetti da una malattia autoimmune.

Ci stiamo poi occupando delle metodiche necessarie per studiare i meccanismi eziopatogenetici delle malattie autoimmuni nella nostra casistica.
In particolare, nel nostro laboratorio stiamo applicando la tecnica dell’immunoprecipitazione, che ho avuto modo di imparare personalmente nella mia esperienza di ricerca negli Stati Uniti, per identificare autoanticorpi noti con elevata sensibilità e specificità e anche per identificarne di nuovi, aprendo così diverse strade per la ricerca.

 

I suoi studi l’hanno portata all’estero, ma lei vive e lavora in Italia, un cervello non in fuga, dunque?

Ho studiato Medicina a Brescia, dove mi sono laureata nel 2005, sempre a Brescia ho seguito la Scuola di Specializzazione in Reumatologia, specializzandomi nel 2010. Nel 2009 sono stata per tre mesi presso l’Università della Florida, a Gainesville, dove mi sono occupata di ricerca in laboratorio sulle malattie autoimmuni. Ad aprile 2010, terminati gli studi, sono ritornata negli Stati Uniti, nello stesso laboratorio, dove ho ripreso la ricerca, dapprima seguendo progetti già in corso, poi realizzandone di miei.
Sono ritornata in Italia nell’agosto del 2012 e sono entrata in Humanitas a settembre con la borsa di studio promossa da Gerry Scotti: sono infatti una delle ricercatrici “adottate” da Gerry!

Mi sono occupata della Sindrome di Sjögren, una patologia autoimmune che in alcuni soggetti si associa a linfoma, con un rischio di 44 volte superiore rispetto alla popolazione generale.
A novembre sono diventata dottoranda in patologia e neuropatologia sperimentale e da gennaio seguo anche la pratica clinica. Questo è per me molto importante perché mi consente di entrare a contatto con i pazienti, incontrarli, capire chi di loro è prelevabile e procedere con la ricerca.
Sono molto contenta di potermi occupare di ricerca nel mio Paese, anche se l’esperienza all’estero è stata certamente utile e interessante.

 

Per saperne di più

I numeri di Humanitas
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