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Epatite C, si aprono nuove prospettive

L’epatite C è una patologia infettiva che si trasmette per contatto diretto con il sangue infetto. Si tratta di una malattia che colpisce oltre 170 milioni di persone nel mondo e che causa nel nostro paese circa 10.000 morti l’anno. Purtroppo, l’infezione da epatite C rimane asintomatica per lunghi periodi di tempo e il virus dell’epatite C è spesso resistente alle terapie. Inoltre a volte lo stadio avanzato di malattia rende molto rischioso l’uso degli attuali farmaci. Il Sofosbuvir, un farmaco antivirale recentemente approvato proprio per l’uso sui pazienti malati di epatite C, secondo molte ricerche garantisce risultati sensibilmente migliori rispetto alle strategie attualmente in uso. Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Ana Lleode Nalda, medico di Humanitas nell’Unità di Epatologia diretta dal Dott. Pietro Invernizzi.

Dottoressa Lleo, quali sono le terapie attualmente in uso per l’epatite C?

La terapia standard contro l’epatite C è costituita dalla somministrazione di interferone in combinazione con ribavirina; una strategia che nei così detti genotipi difficili (per esempio il genotipo 1) è efficace solo nel 45% dei pazienti ed è carica di numerosi effetti collaterali. All’incirca un anno fa, sono entrati in commercio in Italia alcuni antivirali (boceprevir e telaprevir) che, combinati con l’interferone e la ribavirina, hanno migliorato i tassi di risposta dei pazienti con genotipo 1; in alcuni casi si arriva fino all’80% di risposta virale sostenuta. Tuttavia, questi farmaci aumentano anche gli effetti secondari della terapia con interferone e ribavirina e sono mal tollerati. Sofosbuvir, invece, oltre ad aver dimostrato una maggiore efficacia e tollerabilità, viene somministrato per via orale solo una volta al giorno e permette di accorciare i tempi di trattamento. La buona tollerabilità del Sofosbuvir fa sì che possa essere utilizzato anche nei malati più avanzati, inoltre si è anche dimostrato efficace senza bisogno d’interferone per combattere il genotipo 2 (12 settimane di cura) e il genotipo 3 (24 settimane di cura). Importante sottolineare che per i genotipi 1 e 4 l’interferone rimane necessario. Sofosbuvir è stato approvato da poche settimane da parte dell’agenzia dei farmaci europea (EMA). In Italia, a causa dell’elevato costo che si aggiunge a quello di altri farmaci, si dovrà aspettare la valutazionedell’AIFA (agenzia italiana del farmaco) sulla sostenibilità della spesa, per conoscerele regole di rimborsabilità del Servizio Sanitario Nazionale.

L’adozione della nuova strategia potrà portare ulteriori sviluppi?

Certamente si: il Sofosbuvir è stato approvato per l’uso comune ma vi sono e vi saranno ancora molte sperimentazioni attive, perché si pensa che sia possibile, combinandolo con altre molecole, migliorarne ancora l’efficacia e ridurre ulteriormente la durata della terapia (che attualmente è 6-12 mesi),abbattendo anche gli effetti secondari. In un futuro non lontano è ipotizzabile che gli studi clinici condurranno a terapie personalizzate, che si basino sui dati raccolti attraverso l’analisi del singolo paziente.

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