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Linfoma di Hodgkin e trapianto allogenico: premiata la dottoressa Chiara De Philippis

La dottoressa Chiara De Philippis, che lavora presso l’Ematologia di Humanitas diretta dal professor Armando Santoro ha vinto il Jian Luan Award: il premio per il miglior abstract dedicato ai linfomi nell’ambito del 45° meeting annuale della European Society for Blood and Marrow Transplantation (EBMT), svoltosi a Francoforte dal 24 al 27 marzo scorsi.

Il lavoro della dottoressa De Philippis (dal titolo “Checkpoint inhibitor treatment before haploidentical transplantation in relapsed or refractory Hodgkin Lymphoma patients is associated with higher PFS without increased toxicities”), è dedicato all’impatto del trattamento con i farmaci cosiddetti “checkpoint inhibitors” prima del trapianto allogenico di midollo nei pazienti con Linfoma di Hodgkin.

Come spiega la stessa dottoressa De Philippis: “Si tratta di uno studio retrospettivo che ha coinvolto 54 pazienti con Linfoma di Hodgkin che sono stati sottoposti a trapianto aploidentico di midollo dal 2014 al 2018, in Humanitas e in altri due centri francesi”.

Il trattamento con i checkpoint inhibitors prima del trapianto di midollo

“Da qualche anno disponiamo di farmaci chiamati inibitori dei check point (come per esempio il nivolumab), un nuovo tipo di immunoterapia capace di attivare il sistema immunitario del paziente nei confronti della malattia, stimolando una risposta immunitaria contro le cellule del tumore. Il loro utilizzo prima di un trapianto allogenico di midollo (ovvero da un donatore esterno) potrebbe contribuire da un lato ad aumentare la risposta immunitaria nei confronti della malattia, ma potrebbe portare  anche con sé un alto rischio di tossicità immunologica. Il paziente infatti, in seguito al trapianto di midollo allogenico, eredita sia il sistema emopoietico (globuli rossi, bianchi, piastrine) sia il sistema immunitario del donatore, con conseguenti complicanze relative al rischio che il sistema immunitario del donatore non riconosca come propri alcuni tessuti del ricevente e li attacchi. È una complicanza specifica nota come GVHD, ovvero Graft-Versus-Host-Disease. Proprio per questo motivo, poco dopo l’introduzione di tali farmaci, un allert è stato emesso dall’FDA (Food and Drugs Administration) sull’utilizzo di tali farmaci prima di un trapianto allogenico”, spiega l’ematologa.

L’obiettivo dello studio e i risultati

“Con questo studio abbiamo valutato la differenza in termini di efficacia e di tossicità nei pazienti con Linfoma di Hodgkin sottoposti a trapianto allogenico. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: un primo gruppo (composto da 28 pazienti) è stato trattato con checkpoint inhibitors prima del trapianto, mentre il secondo gruppo (26 pazienti) ha subito il trapianto senza precedente esposizione a tali farmaci. 

Ne è emerso che la tossicità non è diversa nei due gruppi; in particolare l’incidenza di GVHD acuta osservata è stata uguale nei due gruppi e non sono stati osservati casi di GHVD acuta severa. Pertanto il trattamento con inibitori dei check point prima del trapianto non sembra aumentare il rischio di tossicità immunologica. Per quanto riguarda l’efficacia invece, il trattamento con inibitori di check point prima del trapianto è legato a un rischio di recidiva inferiore e dunque aumenta la sopravvivenza libera da malattia. È bene però sottolineare che si tratta di uno studio che ha coinvolto un piccolo numero di pazienti e che pertanto saranno necessari ulteriori studi in futuro”, ha concluso la dottoressa De Philippis.

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