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L’anestesia epidurale: un jolly contro il dolore, non solo nel parto

La conosciamo soprattutto per la sua azione analgesica durante il travaglio di parto, ma l’anestesia ‘peridurale’ (o ‘epidurale’) ha in realtà altre utili applicazioni, specialmente combinata con altre tecniche anestesiologiche, come supporto per una migliore gestione del dolore, anche post-operatorio. Abbiamo chiesto alla dott.ssa Roberta Monzani, responsabile del Day Hospital Chirurgico di Humanitas, Responsabile del Day Hospital Chirurgico di Humanitas, di spiegarci in che cosa consiste, perché stenta a diventare di routine, chi la può somministrare, quando è o sarebbe particolarmente vantaggiosa.

Che cos’è l’anestesia peridurale?
“E’ un tipo di anestesia loco-regionale centrale che, a differenza dell’anestesia spinale, prevede l’iniezione di anestetico all’esterno dello spazio subaracnoideo, tra il periostio e la meninge dura madre. Si caratterizza per l’inserimento di un cateterino che può essere mantenuto per un tempo variabile, attraverso il quale è possibile dosare nel tempo la somministrazione di farmaci”.

Con quali effetti e vantaggi?
“In età pediatrica, sino ai 7 anni, si utilizza molto come tecnica anestesiologica di prima scelta, associata a blanda sedazione, per interventi di chirurgia addominale ed agli arti inferiori. La peridurale può essere eseguita anche a livello del rachide cervicale. Naturalmente richiede un’adeguata formazione ed esperienza per prevenire effetti collaterali facilmente evitabili da mani esperte”.

Quali farmaci si usano?
“Si possono somministrare anestetici locali in diverse concentrazioni, anestetiche e/o analgesiche, ed analgesici maggiori”.

Quando è utile come tecnica anestesiologica?
“L’applicazione più nota ed utile della peridurale è soprattutto quella analgesica come tecnica ‘accessoria’: per esempio, si può condurre un’anestesia generale cosiddetta ‘combinata’ in cui si ottiene l’induzione del sonno del paziente con l’anestesia generale mentre con il cateterino peridurale si somministra l’analgesico, dosandolo nel tempo e gestendolo al meglio, con minore invasità, uso di farmaci ridotto e, in più, la possibilità di continuare la terapia del dolore anche dopo l’operazione”.

In quali interventi si usa di più o per quali pazienti?
“Quella che si ottiene combinando due tecniche è un’anestesia cosiddetta ‘bilanciata’, particolarmente vantaggiosa quando si trattano pazienti a rischio (anziani, cardiopatici, diabetici e in generale persone con precario o difficoltoso equilibrio generale di salute), perché oltre a gestire meglio il dolore si usano meno farmaci, il che significa minor impatto farmacologico, importante soprattutto per i pazienti affetti da patologie cardiovascolari. Si usa perciò abbastanza nei grandi interventi di ortopedia e, durante e dopo l’intervento, anche nelle operazioni al polmone (peridurale toracica)”.

Ha controindicazioni particolari?
“E’ bene non utilizzarla nei pazienti portatori di disturbi della coagulazione e/o piastrinopenici, dove siano presenti lesioni settiche della cute in sede d’iniezione, in caso di lesioni della meninge dura madre, allergie nei confronti degli anestetici locali o dei conservanti. Infine, come la spinale, è controindicata per i pazienti con patologie a carico del sistema nervoso centrale”.

Quali sono invece i suoi limiti di applicazione?
“E’ una tecnica difficoltosa, soprattutto a livello toraco-cervicale. Non prenderà mai piede come anestesia pura: non dà infatti la certezza assoluta di copertura della zona e richiede un tempo abbastanza lungo perché si instauri un’adeguata anestesia e/o analgesia. La regione peridurale è uno spazio ‘virtuale’ contenente grasso, fibre connettive, vasi sanguigni e linfatici. Per questo il risultato può essere un’anestesia cosiddetta ‘a macchia di leopardo’, cioè non omogenea in tutta la zona interessata dal livello dell’iniezione dell’anestetico”.

Per questo si usa la spinale per il taglio cesareo?
“Sì. Bisogna anche pensare che nei cesarei d’urgenza l’effetto analgesico ‘perfetto’ che si ottiene in pochi minuti con la spinale non è paragonabile con quello più lento (onset time) e talora impreciso che si ottiene con una peridurale”.

La peridurale sarebbe la soluzione al dolore in travaglio di parto…
“Sì. Ma occorrerebbe assicurare il servizio a tutte le donne, 24 ore su 24, con un organico anestesiologico che lo consenta. Questa scelta dipende anche da una cultura di base che deve ancora maturare. Basti pensare che solo in alcune realtà esiste un Progetto Regionale chiamato ‘Ospedale senza dolore’ che prevede un servizio di Terapia del Dolore 24 ore su 24, con personale dedicato”.

Per poter praticare una peridurale ‘in sicurezza’ servono anestesisti con una preparazione particolare?
“Sì, occorrono una certa dimestichezza con la procedura ed il materiale necessario ed un periodo di formazione, non essendo neanche questa tecnica esente dal rischio di complicanze come lesioni nervose ed ematomi. Un anestesista poco esperto potrebbe non essere all’altezza di una corretta ed adeguata gestione del piano anestesiologico”.

Questo non facilita la strada verso la pratica routinaria dell’epidurale…
“In effetti no, sia per un discorso di economia, cioè numero di professionisti consono al servizio richiesto, sia per il necessario periodo di formazione previsto per acquisire l’esperienza e le capacità manuali. Per rendersi conto di quanta strada resti da percorrere, va tenuto conto che per esempio la Scuola di Specialità in Anestesia di Milano ha introdotto solo recentemente, nel nuovo piano di studi, l’obbligo di frequentare per un periodo predefinito una struttura dove si eseguano prevalentemente anestesie loco-regionali”.

Di Francesca Blasi

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