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Bloccata la malattia autoimmune Lupus, ecco come si cura in genetica

Uno studio internazionale ha scoperto un gene associato alla presenza di questa patologia.

È stato individuato sul cromosoma X un gene che non è solo associato al lupus eritematoso sistemico (LES), ma svolge un ruolo critico nella sua patogenesi. Si chiama IRAK1 (interleukin-1 receptor associated kinase-1) e la sua posizione sul cromosoma sessuale femminile potrebbe spiegare perché la malattia autoimmune, caratterizzata da febbre, dolori articolari e particolari eruzioni cutanee, è dieci volte più frequente tra le donne che tra gli uomini. Uno studio multicentrico internazionale, coordinato da un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas, ha confrontato più di 6.000 portatori della malattia con altrettanti controlli sani, dimostrando la forte associazione di quattro quattro SNPs (cioè, Six single-nucleotide polymorphisms – polimorfismi nucleotidici singoli, indicano variazioni genetiche di un singolo nucleotide). con la patologia, in persone di origine europea, africana, asiatica e ispanica. Che il legame non fosse casuale è stato poi dimostrato su modelli sperimentali geneticamente modificati ed affetti da LES: è bastato eliminare in laboratorio il gene in causa per limitare la comparsa di autoanticorpi o evitare lo sviluppo di segni e parametri clinici (come la nefrite ludica) tipici della malattia. Un’osservazione che potrebbe favorire lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. (Fonte: www.lascienzainrete.it).

“L’importanza di questo studio – spiega il dott. Domenico Mavilio, immunologo clinico di Humanitas – sta prima di tutto nell’aver analizzato il genoma di circa 6.000 pazienti affetti da LES inclusa una coorte di 769 donatori in età pediatrica. È stato riscontrato che un particolare aplotipo (sequenza aminoacidica) presente sul gene IRAK1 è fortemente associato ad una maggiore frequenza della malattia nella popolazione. Inoltre si è scoperto che il gene in questione si trova sul cromosoma X. Il fatto che IRAK1 si posizioni sui cromosomi sessuali può anche aiutarci a capire perché il LES è molto più frequente nelle donne rispetto agli uomini, e di fatto apre nuove ipotesi circa la patogenesi della malattia che si affiancano a quelle di natura immuno-ormonale.
Il secondo risultato importante dello studio è stato ottenuto su modelli sperimentali in cui è stata indotta la malattia: l’inattivazione del gene IRAK1 in questi modelli con fenotipo lupico limita in modo significativo la comparsa di autoanticorpi, l’attivazione patologica del sistema immunitario e protegge dalla comparsa di nefrite lupica e danni renali. Tutto ciò rappresenta indubbiamente un passo avanti molto importante e apre nuovi orizzonti alla ricerca. Tuttavia, i meccanismi molecolari e cellulari legati al coinvolgimento del IRAK1 nella patogenesi del LES sono ancora sconosciuti. La loro identificazione potrebbe rappresentare un elemento importante su cui impostare la ricerca e lo sviluppo di strategie terapeutiche nuove che mirino a d eradicare i fattori scatenanti la malattia, per la quale una cura definitiva non esiste allo stato attuale.
Il LES è una malattia autoimmunitaria di natura multifattoriale e difficilmente il coinvolgimento di IRAK1 da solo può spiegare l’intera fisiopatologia del LES. Tuttavia, se i grandi numeri confermeranno che un particolare aplotipo di IRAK1 è associato ad un maggior rischio di sviluppare il LES, si potranno sviluppare programmi di screening al fine di identificare i soggetti a rischio, di effettuare diagnosi precoci ed ottimizzare le attuali terapie anti-infiammatorie immuno-soppressive“.

Il lupus eritematoso sistemico

Il lupus eritematoso sistemico è una malattia autoimmune infiammatoria cronica, le cui cause sono ancora sconosciute. Colpisce persone di tutte le età e i gruppi etnici: negli Stati Uniti ne sono affetti 15-50 individui ogni 100.000. In generale, tuttavia, il lupus colpisce il sesso femminile, e per lo più le donne in età fertile, con frequenza di circa 9 volte superiore a quello maschile. Le malattie autoimmuni (o immunodegenerative) rappresentano un grave problema sociale. Nel mondo occidentale sono la terza categoria di patologie più comune dopo il cancro e le malattie cardiovascolari. Negli USA ne è affetto il 5-8% della popolazione (cioè 14-22 milioni di persone). E il 78-80% di chi ne soffre sono donne.

Queste malattie sono causate dal sistema immunitario che, ad un tratto, aggredisce il proprio organismo anziché difenderlo: in particolare i linfociti-T non riconoscendo più alcune cellule (il cosiddetto ‘self’) le attaccano e le distruggono come fossero agenti esterni quali virus o batteri. Il perché di questa auto-lesione è tuttora sconosciuto. Il lupus è caratterizzato da lesioni tissutali e cellulari e dall’alternarsi di periodi di relativa quiescenza e periodi di riacutizzazione dei sintomi che possono coinvolgere uno o più organi. Inoltre, più della metà dei pazienti sviluppano nel tempo un danno organico sistemico permanente.
Il lupus può manifestarsi sotto differenti forme: rash amalare, rash discoide, fotosensibilità, ulcere orali, artriti non erosive, sierositi, manifestazioni renali, disturbi neurologici, alterazioni ematologiche e disordini immunologici.

“La diagnosi di lupus – conclude il dott. Mavilio – si basa sulle manifestazioni cliniche e sulla presenza di autoanticorpi. In aggiunta, l’American College of Rheumatology ha stabilito alcuni criteri diagnostici la cui presenza ben documentata nella storia clinica del paziente rende possibile la diagnosi. Molte malattie possono essere confuse con il lupus: tra queste, la sindrome di Sjogren, la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi, le fibromialgie ANA-positive, la porpora idiopatica trombocitopenica, il lupus indotto da farmaci, l’artrite reumatoide iniziale e le vasculiti. Ad oggi, non esiste alcuna cura in grado di guarire il lupus, e le remissioni complete a lungo termine sono rare. Pertanto è necessario pianificare il controllo terapeutico delle fasi acute per sviluppare successivamente una terapia in grado di controllare i sintomi e prevenire il danno d’organo”.

A cura della Redazione

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