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Asma Zero Week: in Humanitas tornano le visite gratuite per i pazienti con asma

Dal 12 al 16 ottobre 2020 torna Asma Zero Week, evento nazionale di consulenze gratuite specialistiche per pazienti con asma, arrivato alla sua quarta edizione e promosso da FederASMA e ALLERGIE Odv – Federazione Italiana Pazienti, patrocinato da Società Italiana di Allergologia, Asma ed Immunologia Clinica (SIAAIC), dalla Società Italiana di Pneumologia (SIP/IRS), e in partnership con AstraZeneca.
Humanitas aderisce all’Asma Zero Week, con altri 40 centri specializzati in tutta Italia, offrendo, il 15 ottobre, una giornata di consulenze gratuite a tutti i pazienti interessati, che potranno prenotarsi al Numero Verde 800 62 89 89.

Ci racconta l’importanza del progetto il professor Giorgio Walter Canonica, Responsabile del Centro Medicina Personalizzata: Asma e Allergologia di Humanitas e docente di Humanitas University. 

Asma: l’importanza di non sottovalutare l’infiammazione

L’iniziativa vuole sensibilizzare i pazienti sull’importanza della prevenzione degli attacchi d’asma e dell’adozione di corrette strategie terapeutiche. L’asma, infatti, è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, particolarmente diffusa in Europa, dove si stima che circa 30 milioni tra bambini e adulti di età inferiore ai 45 anni ne soffrano. Chi ne soffre può avvertire sintomi come dispnea, sensazione di costrizione toracica, tosse e broncospasmo. La cura dell’asma, per questa sua natura impattante, non deve dunque limitarsi alla gestione dei sintomi, ma deve al contrario partire dalla cura dell’infiammazione, troppo spesso sottovalutata dai pazienti. La gestione dell’asma inizia con l’identificazione dei fattori che la innescano o la aggravano: come il fumo, attivo e passivo, l’esposizione ad allergeni, l’inquinamento ambientale e l’utilizzo di alcuni farmaci.

“Il bisogno terapeutico del paziente può variare nel tempo e il trattamento deve essere modificato in base alle sue necessità” spiega il professor Canonica. “Per decenni abbiamo assistito a un abuso dei broncodilatatori beta2-agonisti a breve durata d’azione (SABA), capaci sì di alleviare da soli temporaneamente i sintomi, ma non di curare l’infiammazione sottostante, aumentando così il rischio di riacutizzazioni e, quindi, di un più rapido declino della funzione respiratoria. Oggi sappiamo che il paziente deve essere sottoposto a una terapia combinata costante. Anche per il sollievo al bisogno, durante la terapia di mantenimento, è da preferire una combinazione di corticosteroide inalatorio (ICS), che agisce spegnendo l’infiammazione che caratterizza la malattia, e broncodilatatore a lunga durata d’azione (LABA) capace di offrire una rapida ed efficace broncodilatazione”.

Asma e Covid-19: che cosa sappiamo?

Ci sono relazioni tra l’asma e il virus SARS-CoV-2? Sembra di sì: i dati ci parlano di un’incidenza della patologia e un tasso di mortalità inferiore nei pazienti con asma grave rispetto al resto della popolazione. “Nel corso della pandemia da SARS-CoV-2, molto si è discusso su come l’infezione possa impattare nelle persone con asma”, approfondisce il professor Canonica.

“Dati interessanti in proposito vengono da una ricerca italiana che ha indagato l’incidenza e il decorso del COVID-19 nella popolazione di uno dei più grandi registri mondiali di pazienti asmatici il SANI (Severe Asthma Network in Italy). L’indagine ha evidenziato come COVID-19 sia infrequente tra le persone con asma grave; i casi di malattia confermata o altamente sospetta erano infatti solo 26 in 1504 pazienti, pari a un’incidenza dell’1,73%. Anche il tasso di mortalità in questo campione di asmatici è risultato piuttosto basso: 7,7% contro il 14,5% della popolazione generale italiana. Ciò suggerisce che le persone con asma grave non sono ad alto rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 e di andare incontro a forme severe di COVID-19”. 

“Tra le diverse ragioni ipotizzate dagli autori della ricerca per spiegare questi risultati vi è la possibilità che l’impiego di corticosteroidi inalatori possa prevenire o mitigare lo sviluppo delle infezioni da coronavirus. Quanto sopra esposto evidenzia come i registri osservazionali possano essere una fonte importante di dati utili a definire misure gestionali appropriate sia nel singolo sia nella collettività”, conclude il professore.

 

 

 

 

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