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Uno studio su disturbi intestinali e responsabilità degli additivi

Malattie infiammatorie intestinali e sindrome metabolica in aumento, la responsabilità è degli additivi? Lo ipotizza uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di Scienze Biomediche della Georgia State University, ripreso dalla prestigiosa rivista Nature. Gli specialisti di Humanitas commentano lo studio.

Qual è la causa scatenante dei disturbi intestinali?

L’incidenza di questi disturbi è significativamente aumentata nell’ultimo decennio e, nonostante numerosi studi ne abbiano indagato le cause scatenanti, questo fenomeno non sembra correlato a fattori genetici bensì ambientali, a partire dalle abitudini alimentari.

Molecole di polisorbato 80 (E433) e carbossimetilcellulosa (E466), emulsionanti aggiunti a numerosi alimenti (come gelati, integratori e piatti pronti) allo scopo di renderli più appetibili e allungarne la durata di conservazione, sono state somministrate a categorie diverse di topi da laboratorio, modelli murini con e senza predisposizione genetica a sviluppare malattie infiammatorie intestinali, oltre a un gruppo reso privo della flora batterica intestinale.

Quali sono i risultati dei test?

Gli animali del primo gruppo hanno presentato alterazione del microbiota (ossia l’insieme dei microorganismi simbiontici che vivono nel tubo digerente), una condizione che puntualmente si osserva nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali e sindrome metabolica. Ad avvalorare l’ipotesi dei ricercatori, il fatto che i due additivi abbiano innescato il processo infiammatorio anche nei ratti non geneticamente predisposti. Quelli privati della flora batterica intestinale, invece, hanno sviluppato infiammazione solo dopo trapianto di germi, a dimostrazione del ruolo giocato dall’alterazione del microbiota.

Se è indubbio che vi sia una correlazione tra alterazione della flora microbica e malattie infiammatorie intestinali, prima di puntare il dito contro gli additivi occorre verificare i dati con uno studio condotto sull’uomo. Anche perché le dosi somministrate in laboratorio sono di norma superiori quelle a cui si risulta normalmente esposti.

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