COME TI POSSIAMO AIUTARE?

Centralino
+39 02 8224 1

Se hai bisogno di maggiori informazioni contattaci telefonicamente

Prenotazioni Private
+39 02 8224 8224

Prenota una visita in privato o con assicurazione telefonicamente, oppure direttamente online

Centri

IBD Center
0282248282
Dipartimento di Gastroenterologia
02 8224 8224
Ortho Center
02 8224 8225
Cancer Center
02 8224 6280
Centro Odontoiatrico
0282246868
Cardio Center
02 8224 4330
Centro Obesità
02 8224 6970
Centro Oculistico
02 8224 2555

Peritoneo a rischio metastasi, necessari interventi specifici

Da qualche anno per i tumori che colpiscono, direttamente o no, questa superficie che riveste la cavità addominale si perfezionano interventi come la peritonectomia.

Il peritoneo è da poco considerato un organo a sé e questo ha portato a studiarlo in profondità come sede di metastasi di tumori di altri organi o di più rare neoplasie primarie e a elaborare terapie e interventi, come la peritonectomia con perfusione ipertermica. “L’idea che il peritoneo sia da considerarsi un organo a sé stante, con le proprie caratteristiche – spiega il dottor Pietro Bagnoli, specialista dell’Unità operativa di Chirurgia oncologica diretta dal dottor Roberto Doci -, è un’acquisizione recente, che dobbiamo a Paul Sugarbaker, il chirurgo americano che circa trent’anni fa ha codificato l’intervento di peritonectomia, che viene effettuato anche in Humanitas”.

Dott. Bagnoli, quali sono le neoplasie del peritoneo?
“Il peritoneo è una superficie sierosa che riveste la cavità addominale ed entra in contatto su molti degli organi all’interno dell’addome, per un’estensione di circa 8 metri quadrati. È una sede tipica di metastasi di tumori del colon, dell’ovaio, dello stomaco, del pancreas o di altre malattie primitive più rare, per esempio il melanoma maligno, il tumore della mammella e i sarcomi dei tessuti molli. Esistono inoltre i tumori primitivi del peritoneo, decisamente più rari, come il mesotelioma o lo pseudomixoma.
Col termine ‘carcinosi’ (o ‘sarcomatosi’, se la malattia primitiva è un sarcoma) indichiamo la disseminazione di manifestazioni neoplastiche sulla superficie del peritoneo, quale che ne sia la primitività, cioè il tumore che l’ha causata. È una condizione che sino a oggi veniva considerata altamente sfavorevole per la sopravvivenza dei pazienti. Ma adesso possiamo quanto meno fare qualche distinguo”.

Quali?
“La prognosi permane altamente sfavorevole per i pazienti portatori di carcinosi da tumore dello stomaco, argomento che è ancora oggetto di studio. Oggetto d’interesse è invece la carcinosi da neoplasia del colon e, parzialmente, quella da neoplasia ovarica. Parzialmente perché il tumore dell’ovaio ha un andamento abbastanza insolito e tende a rispondere molto bene alla chemioterapia; a tutt’oggi non è stata ancora raggiunta un’idea univoca sul momento in cui inserire un eventuale trattamento chirurgico per la carcinosi peritoneale da ovaio. Esiste invece una maggiore chiarezza di idee per la carcinosi da colon, evento che sino a poco tempo fa era considerato un’evoluzione assolutamente sfavorevole. In casi selezionati, con quote di carcinosi eliminabili in modo radicale, il trattamento chirurgico appare preferibile alla chemioterapia con cui tradizionalmente sono state sinora affrontate queste situazioni”.

Come si interviene chirurgicamente nei tumori del peritoneo?
“L’intervento prevede un’esplorazione accurata di tutte le zone addominali, per valutare la quota di carcinosi e attribuire un punteggio che si chiama ‘Peritoneal Cancer Index’, che idealmente non deve essere superiore a 19. Questo punteggio viene calcolato sulla base delle dimensioni dei noduli di malattia, del loro quantitativo ed eventuale confluenza, cioè della congiunzione di due o più zone interessate dalla patologia. Un punteggio superiore renderebbe poco utili gli sforzi del chirurgo, perché vorrebbe dire che la malattia è troppo aggressiva. L’obiettivo che ci si pone è quello di ottenere una citoriduzione completa, di asportare cioè la neoplasia in modo radicale: solo così si può offrire il massimo vantaggio al paziente.
Dopo aver tolto le zone di peritoneo, con eventuale resezione degli organi interessati dalla malattia, si procede alla chiusura provvisoria dell’addome e si pratica il ‘lavaggio’ della cavità con soluzione di chemioterapico a elevata temperatura (42°C). L’idea che ha condotto a questa tecnica chirurgica è che così i farmaci chemioterapici si concentrino a livello del peritoneo, attraversandolo molto lentamente. Alcuni farmaci come il platino, poi, riescono a curare meglio il tumore se associati alle alte temperature”.

Per quali neoplasie è maggiormente indicato questo intervento?
“Questo tipo di intervento si rivela il trattamento migliore per le neoplasie primitive del peritoneo (essenzialmente mesotelioma e pseudomixoma). Per le carcinosi secondarie ha efficacia essenzialmente per casi selezionati di tumore del colon o dell’ovaio. Non è attualmente applicabile per le carcinosi da stomaco, con qualche eccezione, da valutare caso per caso. In questi casi si sta studiando l’utilità della sola perfusione ipertermica in corso di gastrectomia, cioè di resezione dello stomaco, nei casi di malattia localmente avanzata, ma senza metastasi in atto. Un altro progetto interessante è l’applicazione al tumore del colon del concetto di ‘second look’, da sempre utilizzato per il cancro dell’ovaio: i pazienti sottoposti a chirurgia resettiva per tumore del colon avanzato, ma senza metastasi, vengono rioperati un anno dopo per verificare – e, nel caso, curare – un’eventuale carcinosi non riscontrabile con i normali accertamenti radiologici.

Come si svolge nel dettaglio?
“L’impegno per un tale trattamento è elevato, sia per il paziente e per i parenti, sia per i medici e la struttura ospedaliera. Per questo si è sviluppata una vera e propria ‘task force’ che, oltre a tutti i chirurghi dell’Unità operativa di Chirurgia oncologica, coinvolge anche anestesisti, oncologi, farmacisti, radiologi. L’organizzazione di quest’attività e la gestione del paziente in sala operatoria e nel post-operatorio è paragonabile, per tutte le persone coinvolte, a un trapianto di fegato. L’intervento dura molte ore, poi il paziente viene ricoverato in terapia intensiva. La degenza in reparto può essere molto lunga e il tasso di complicanze è potenzialmente più alto rispetto alla chirurgia maggiore tradizionale, per la concorrenza di malattie molto estese e trattamenti decisamente importanti. I medici effettuano un lungo colloquio con il paziente e i suoi familiari in modo da informarli in modo esauriente su tutte le problematiche connesse e restano a loro disposizione per dubbi e domande”.

A cura della Redazione

I numeri di Humanitas
  • 2.3 milioni visite
  • +56.000 pazienti PS
  • +3.000 dipendenti
  • 45.000 pazienti ricoverati
  • 800 medici