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Prevenzione dell’ictus da fibrillazione atriale, intervista ai professionisti

La fibrillazione atriale è l’aritmia (disturbo del ritmo del cuore) più diffusa nella popolazione generale: ne soffrono 6 milioni di persone in Europa, un milione solo in Italia, e la sua prevalenza tende a crescere. Si stima che il numero di persone con fibrillazione atriale raddoppierà entro il 2050, come conseguenza dell’invecchiamento. Sono oggi disponibili cure che, se impostate in modo appropriato dal medico e seguite scrupolosamente dal paziente e dai famigliari che si occupano della sua  salute, riducono in modo significativo i danni che la fibrillazione può provocare non solo al cuore ma anche al cervello. Ne hanno parlato i professionisti di Humanitas in una recente intervista a Viver Sani e Belli.

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Che cos’è la fibrillazione atriale?

La fibrillazione atriale è un disordine del ritmo del cuore, che da regolare – quale dovrebbe essere – diventa invece caotico e disordinato; ne soffrono due persone su cento, ma non tutte ne sono consapevoli. E’ un’aritmia che spesso il paziente percepisce ma sottovaluta, a volte invece è subdola e il paziente non se ne accorge affatto. Un cuore che fibrilla può causare un ictus cerebrale, evento molto drammatico che lascia spesso invalidità gravi e permanenti, rovinando la vita o addirittura togliendola, ma che potrebbe invece essere prevenuto in molti casi.

Come si evita l’ictus da fibrillazione atriale?

Curando la fibrillazione atriale dopo averne cercato le cause”, afferma la dottoressa. “Saranno il medico curante e il cardiologo  a suggerire la cura adatta al singolo paziente, prescrivendo due tipi di farmaci: quelli che rimettono ordine nel ritmo del cuore (antiaritmici, betabloccanti) e quelli che riducono la tendenza del sangue a coagulare e a formare trombi che diventano emboli (anticoagulanti). In casi particolari potranno essere prescritte manovre come cardioversione, ablazione, impianto di pace maker o altre, più invasive ma a volte indispensabili.

I farmaci anti aritmici servono a rimettere in ordine il battito (ritmo) e la frequenza cardiaca (numero di battiti per minuto), per restituire efficienza alla pompa cardiaca ed evitare che la fibrillazione si trasmetta dall’atrio al ventricoli, portando il cuore all’arresto”. I farmaci anticoagulanti sono fondamentali per fluidificare il sangue, scongiurando il rischio che all’interno del cuore fibrillante si formino trombi che diventando emboli possono raggiungere il cervello e provocare un ictus cerebrale. “Sarà il medico di famiglia o più probabilmente il cardiologo a suggerire i farmaci più adatti per ogni singolo paziente, collaborando con il medico esperto di coagulazione e trombosi nella scelta del farmaco anticoagulante più efficace e meno pericoloso; nella scelta si dovrà tener conto del profilo di rischio del paziente, delle possibili interferenze con altri farmaci che il paziente usa abitualmente, delle sue abitudini, della zona in cui risiede, dell’assistenza che i familiari possono prestargli. Alcuni farmaci anticoagulanti tradizionali come i dicumarolici per esempio sono molto usati e molto efficaci, ma richiedono controlli periodici con un prelievo di sangue che ne misuri la fluidità, e possono risultare inadatti per pazienti che risiedono in luoghi isolati o sono impossibilitati ad accedere a un centro specializzato nella sorveglianza della terapia anticoagulante.

Esistono nuovi farmaci anticoagulanti per la prevenzione dell’ictus nel paziente con fibrillazione?

Nuovi farmaci anticoagulanti (abbreviati con la sigla Noacs: dabigatran, rivaroxaban, apixaban già sul mercato, edoxaban in arrivo a breve) sono oggi disponibili, frutto della ricerca scientifica nel campo della coagulazione del sangue: se ben usati e prescritti in modo selettivo possono dare qualche vantaggio a un paziente ben informato e disciplinato nel seguire le indicazioni del medico. Sono vantaggiosi per chi soffre di fibrillazione atriale isolata, con valvole del cuore sane, o per chi vive in zone lontane dai centri abitati ed è impossibilitato a fare il prelievo periodico per ragioni fisiche o per mancanza di un centro esperto di riferimento per il controllo. I nuovi farmaci NOACS sono efficaci almeno quanto i dicumarolici, ma richiedono qualche precauzione. In particolare è necessario un prelievo di sangue prima della prescrizione per la verifica delle condizioni del fegato, del rene, delle possibili interferenze con altri farmaci: gli esami del sangue vanno ripetuti periodicamente, ogni tre/sei mesi nel corso del primo anno di cura. “Inoltre – avverte l’esperta – bisogna prestare cautela nel prescriverli a pazienti molto anziani o molto fragili.  La scelta del farmaco andrebbe sempre condivisa con il medico di famiglia, con il cardiologo, con l’esperto di coagulazione, con il paziente e con chi lo assiste al domicilio, formando una squadra di persone competenti e ben informate che includa il paziente e i suoi medici, che saprà ritagliare una cura su misura per il paziente, per dargli il massimo del beneficio con il minimo dei rischi di complicanza.

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