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Leucemia mieloide cronica


Che cos’è la Leucemia mieloide cronica (LMC)?

La leucemia è una neoplasia ematologica (tumore del sangue) che si sviluppa nel midollo osseo, nel sangue, nel sistema linfatico e in altri tessuti. Le leucemie sono comunemente distinte in acute e croniche, a seconda della velocità di progressione della malattia.

In generale, si parla di leucemia in presenza di alterazioni biologiche nelle cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) che provocano una crescita e una proliferazione incontrollata delle cellule stesse. Il nome leucemia deriva dalla parola greca leucos (= bianco) proprio perché la malattia ha inizio nei globuli bianchi, le cellule incaricate di combattere le infezioni, che normalmente si riproducono secondo le necessità dell’organismo. Nei pazienti affetti da leucemia, il midollo osseo produce un elevato numero di globuli bianchi anomali, che presentano mutazioni genetiche nel DNA e che non funzionano correttamente. Le cause di questa malattia non sono ancora note con esattezza, ma sembra che vi siano implicati sia fattori genetici sia ambientali.

Le leucemie croniche sono più caratteristiche dell’età adulta. Le forme più comuni sono la leucemia linfatica cronica (LLC) e la leucemia mieloide cronica (LMC): per entrambe, potrebbe essere più indicato utilizzare al posto di “leucemia” la parola “leucosi” data la netta diversità di comportamento, risposta alla terapia e prognosi rispetto alle leucemie acute. La LMC è molto comune nell’età adulta o avanzata e rara in quella infantile con un’età mediana di insorgenza intorno ai 60 anni ed un’incidenza nella popolazione pari a circa 2-3 nuovi casi/anno su 100.000 abitanti, in apparente crescita dato l’aumento medio dell’attesa di vita. La principale caratteristica di questa patologia è una proliferazione anomala di globuli bianchi maturi, e più raramente di piastrine, che il più delle volte viene riscontrata casualmente in occasione di periodici esami di controllo. In passato, quando era meno comune sottoporsi ad esami di controllo, la diagnosi della LMC scaturiva dal riscontro di sensazione di peso al fianco sinistro dovuto alla crescita delle dimensioni della milza (splenomegalia) che ancora si associa alle fasi più avanzate della LMC.

Quali sono le origini di questa patologia?

Nel 1960 fu lo studio dei cromosomi (cariotipo) che portò due medici di Filadelfia a scoprire che i pazienti affetti dal LMC avevano il cromosoma 22 più corto del normale. Questa forma “corta” di cromosoma 22 venne denominato cromosoma Filadelfia (cromosoma Ph). Studi successivi dimostrarono che, nei pazienti con LMC, anche il cromosoma 9 risultava diverso. Fu scoperto che tra il cromosoma 9 ed i cromosoma 22 c’era un reciproco scambio di materiale cromosomico: ovvero, che una porzione del cromosoma 9 si legava al cromosoma 22 e viceversa (traslocazione). Ne risulatava che tutte le cellule leucemiche risultavano positive per la traslocazione 9;22 mentre le altre cellule del midollo e quelle dei tessuti risultavano con cariotipo normale.

Negli anni ‘80 venne definito che la traslocazione 9;22 coinvolgeva principalmente 2 geni – il gene BCR (cromosoma 22) ed il gene ABL (cromosoma 9) – che dava origine ad cosiddetto gene di fusione BCR-ABL. Quest’ultimo dà origine ad una proteina anomala, non presente nei soggetti sani, che influenza significativamente il ciclo cellulare portando le cellule leucemiche ad una proliferazione poco controllata.

La proteina anomala esercita un’attività “tirosin-chinasica” continua verso altre proteine della cellula: la conoscenza di questo meccanismo ha portato i ricercatori alla scoperta di farmaci specifici per l’inibizione selettiva della sua funzione (inibitori delle tirosin-chinasi) che hanno rivoluzionato la cura della LMC con un successo straordinario.

Esistono dei fattori di rischio specifici?

Alcuni fattori possono aumentare il rischio di sviluppare alcuni tipi di leucemia:

  • terapie contro il cancro, come alcuni tipi di radioterapia o chemioterapia
  • esposizione ad alti livelli di radiazioni

Al di là di evitare l’esposizione a radiazioni o a sostanze chimiche cancerogene, non esiste una prevenzione specifica (stili di vita, abitudini alimentari o esposizione a agenti chimici) per la LMC , dato che non se ne conoscono con certezza le cause.

Diagnosi

È possibile che la leucemia mieloide cronica sia diagnosticata del tutto accidentalmente nel momento in cui vengono scoperti valori alti di globuli bianchi o di piastrine nel corso di esami effettuati per un’altra malattia o per controlli periodici previsti dai programmi di prevenzione di malattie sul lavoro.

I pazienti con un sospetto di leucemia mieloide cronica devono richiedere al più presto una visita con un oncoematologo per completare l’inquadramento diagnostico con un’intervista accurata, un esame obiettivo, analisi del sangue e strumentali volte a valutare la funzionalità degli organi interni e un’analisi di campioni prelevati dal midollo osseo.

Tra i principali esami si ricordano:

  • esame emocromocitometrico: misura il numero di globuli bianchi, rossi e piastrine del sangue periferico (SP) e dettaglia in percentuale e valore assoluto i 5 principali tipi di globuli bianchi (i granulociti neutrofili, eosinofili e basogili, i monociti ed i linfociti), L’analisi al microscopio ottico del sangue periferico consente inoltre di esaminare più approfonditamente frazioni più rare ed immature dei globuli bianchi (blasti, pro mielociti e mielociti) che normalmente non sono presenti nei soggetti sani.
  • aspirato e biopsia del midollo osseo: entrambe le procedure vengono eseguite in tutta sicurezza introducendo un ago in un osso sul retro del bacino, precisamente la spina iliaca postero-superiore (link sul NEJM). Con l’aspirato midollare (AM), una volta posizionato opportunamente l’ago in anestesia locale, si procede a 2-4 brevi ripetute aspirazioni della durata di pochi secondi, allo scopo di raccogliere adeguati campioni di midollo osseo. La biopsia osteomidollare (BOM) è una procedura che prevede l’estrazione di un piccolo cilindro d’osso con un apposito ago. Viene eseguita sempre in anestesia locale. L’esecuzione della BOM per l’inquadramento clinico-prognostico nel sospetto di LMC non sempre viene ritenuta necessaria dall’oncoematologo.
  • analisi morfologica: consiste nell’esaminare al microscopio ottico le caratteristiche morfologiche delle cellule midollari presenti in campioni di aspirato midollare e sangue periferico. Fornisce importanti informazioni per la diagnosi e la definizione della fase di malattia.
  • analisi citogenetica: un campione di AM viene opportunamente processato in laboratorio per esaminare il numero e la struttura dei cromosomi. La presenza del cromosoma filadelfia è certamente indicativa per la diagnosi di LMC.
  • analisi FISH: è un’analisi citogenetica più sensibile ed approfondita di quella convenzionale, che consente di esaminare con precisione le cellule midollari che hanno la traslocazione 9;22 o verificare anomalie cromosomiche rare che possono nascondere la presenza della traslocazione 9;22 (varianti “masked”).
  • analisi molecolare: è utile per esaminare la quantità di gene di fusione BCR-ABL e consente di monitorare con estrema precisione la risposta alla terapia. Nei pazienti che rispondono in modo ottimale alla terapia si riscontra una sensibile riduzione del BCR-ABL fino a valori molto bassi o, talora, fino alla scomparsa.

Stadiazione 

Nella LMC sono riconosciute tre distinte fasi:

  • fase cronica
  • fase accelerata
  • crisi blastica

Fase cronica

La LMC viene diagnosticata per lo più in fase cronica: i globuli bianchi e le piastrine malate, pur se di numero aumentato alla conta dell’esame emocromocitometrico, maturano e funzionano come le cellule normali. Raramente vengono riferiti segni o sintomi di infezioni o sanguinamento e solo occasionalmente viene riferito senso di peso al fianco sinistro in caso di ingrossamento della milza. Con l’inizio della terapia specifica si ha una pronta riduzione dei globuli bianchie delle dimensioni della milza, e un ripristino di condizioni cliniche e generali di pieno benessere.

Fase accelerata e crisi blastica

La LMC viene diagnosticata in una di queste due fasi avanzate solo in una minoranza di pazienti. In questo caso possono essere presenti sintomi come febbre, astenia (stanchezza), inappetenza o segni clinici di anemia e sanguinamento. Nel sangue periferico e nel midollo osseo aumentano i blasti e le forme immature dell’emopoiesi, la milza è sempre ingrossata.

Nella crisi blastica si ritrovano sintomi e segni tipici delle leucemie acute: di conseguenza, è una condizione clinica ad alto rischio. Spesso le cellule leucemiche della crisi blastica presentano alterazioni cromosomiche complesse tipiche delle leucemie acute più aggressive. La fase accelerata e la crisi blastica possono essere un’evoluzione della fase cronica in pazienti che non rispondono alla terapia in atto. Oggi, rispetto al passato, questa evenienza si è molto ridotta grazie ai nuovi farmaci (inibitori delle TK), ai quali risponde bene la maggior parte dei pazienti.

Trattamenti

Nella seconda metà degli anni ‘90 sono stati sviluppati alcuni trattamenti innovativi per la leucemia mieloide cronica, che si sono rivelati una vera e propria rivoluzione nella terapia della LMC.

Pazienti in fase cronica

Il trattamento dei pazienti con LMC in fase cronica in quasi tutti i casi determina un ritorno della conta di globuli bianchi e piastrine e delle dimensioni della milza alla normalità. Nei primi 2-3 mesi di terapia i controlli dell’emocromo e degli esami di funzionalità d’organo sono a cadenza almeno bi-settimanale, per poi diluirsi nel tempo ed arrivare ad essere bi-trimestrali.

L’aspirato midollare viene eseguito, oltre che alla diagnosi, a 3 mesi, 6 mesi ed 1 anno dall’inzio della terapia. Successivamente viene effettuato una volta all’anno o su indicazione clinica in caso di risposta clinica non soddisfacente. Ad oggi, tutti i pazienti con diagnosi di LMC in fase cronica vengono trattati in prima linea con Imatinib, il primo farmaco della classe di “inibitori della tirosin-chinasi BCR-ABL” sperimentato con grande successo. A più di 10 anni dalla prima sperimentazione, questo farmaco si è rivelato in grado di controllare la malattia in più dell’80% dei pazienti a 10 anni di distanza e di ottenere una risposta clinica ideale in più del 60% dei casi.

La terapia con Imatinib è ben tollerata anche in pazienti anziani e solo in pochi casi è necessario interrompere la terapia per intolleranza o effetti collaterali. Recentemente sono stati sperimentati altri inibitori di TK (i più importanti sono Nilotinib, Dasatinib e Bosutinib) che si sono dimostrati efficaci anche in coloro che perdevano la risposta a Imatinib. Studiclinici stanno anche paragonando questi nuovi inibitori con Imatinib per stabilire se e in quali pazienti possano sostituirlo come prima linea di terapia A questo proposito è imminente l’indicazione a terapia di prima linea per Nilotinib.

Le terapie precedentemente utilizzate nella cura della LMC (Interferone, Idrossiurea, Busulfano, Aracitina, Omoarringtonina) trovano indicazione solo sporadicamente in pazienti che non rispondono ai nuovi farmaci o in protocolli di ricerca clinica.

Pazienti in fase accelerata/blastica

Pazienti che esordiscono o evolvono in FA o CB hanno una risposta solo transitoria agli inibitori delle TK. Coloro che raggiungono almeno una risposta ematologica devono essere avviati al trapianto allogenico quando praticabile. La chemioterapia può essere una possibile alternativa in alcuni pazienti che non rispondono agli inibitori delle TK o che esordiscono in FA o CB ma la risposta, quando ottenuta, resta solitamente di breve durata.

Risposta al trattamento

Nella cura della LMC è di cruciale importanza definire la risposta al trattamento. I pazienti che hanno un controllo ottimale della malattia nel tempo sono coloro che raggiungono la migliore risposta agli inibitori delle TK. Il grado della risposta influenza anche significativamente le decisioni terapeutiche.

La risposta al trattamento può essere ematologica, citogenetica o molecolare.

I pazienti che ottengono una risposta ematologica completa hanno una normalizzazione dei valori dell’emocromo che denota una sensibile riduzione delle cellule leucemiche circolanti.

I pazienti che ottengono una risposta citogenetica completa hanno una scomparsa delle cellule leucemiche con l’anomalia cromosomica Ph+ e una bassa probabilità di ricaduta della malattia.

I pazienti che ottengono una risposta molecolare completa hanno una completa scomparsa del trascritto BCR-ABL con l’analisi molecolare su campione di midollo osseo o sangue periferico: questa è la miglior risposta possibile e coloro che la ottengono hanno una minima probabilità di ricaduta della malattia.

Trapianto di midollo osseo

I pazienti che non rispondono o perdono la risposta agli inibitori delle TK possono essere candidati al trapianto allogenico di midollo osseo in base alla loro età e alle condizioni cliniche.   Il trapianto allogenico si compone di una prima fase preparatoria (terapia di condizionamento) che si avvale di chemioterapia e/o radioterapia per eliminare parte delle cellule leucemiche, e di una seconda fase in cui vengono reinfuse le cellule staminali ematopoietiche prelevate da un donatore sano. Tramite questa procedura il midollo osseo del paziente viene sostituito con uno nuovo che si origina dalle cellule del donatore.

Il trapianto di cellule staminali allogeniche può considerarsi una forma vera e propria di immunoterapia, dato che cellule del sistema immune del donatore sono capaci di riconoscere ed eliminare le cellule leucemiche del paziente che residuano dopo la terapia di condizionamento.

Il trapianto allogenico è tuttavia una procedura complessa che può essere complicata da infezioni o da una reazione immunitaria delle cellule del donatore contro il soggetto ricevente (malattia trapianto-contro-l’ospite, nota come GvHD dall’inglese Graft-vs-Host Disease).

Prima della scoperta degli inibitori delle TK, il trapianto allogenico costituiva la principale modalità di cura per i pazienti con LMC di età inferiore a 50-55 anni.

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